Il Brasile snobba e saluta un'Italia «spenta»

Giudizi negativi già dopo il ko con la Costa Rica. I commentatori: "Il Mondiale ha bisogno di Balotelli, ma lui non c'è"

Il Brasile snobba e saluta un'Italia «spenta»

Nostro inviato a Rio de Janeiro

La parabola discendente degli azzurri si respirava, per le strade di Rio, fin dalla partita con la Costarica. In quel match si è volatilizzato, in 90 minuti, il tesoretto di simpatia, rispetto e ammirazione che i brasiliani ci avevano messo in credito dopo la vittoria con gli inglesi. La partita di Manaus aveva consegnato al popolo verdeoro l'idolo europeo in cui identificarsi più di qualunque altro, Mario Balotelli; e il più brasiliano dei nostri giocatori, Andrea Pirlo. Dopo la prestazione sconsolante e la sconfitta con Costarica, giornali, tv e siti web hanno quasi messo da parte gli azzurri. Niente spunti, nessun personaggio. Qui se ne intendono di calcio. E martedì il match con l'Uruguay non interessava già più molto. A Rio, per esempio, i baracchini che di solito alle 13 (orario della partita di Natal) sono pieni di avventori di fronte agli schermi accesi anche nelle spiagge e nelle strade minori, martedì erano semideserti nonostante il solleone. E tra chi ci stava c'era anche chi non chiedeva nemmeno di accendere la tivù. Non sapevano che partita ci fosse.

I brasiliani non sono andati in massa allo stadio di Natal, a fare il tifo contro l'Uruguay. Eppure quale squadra meglio di quella che gli ha soffiato il titolo nel 1950 si prestava di più? Buttava male.
Poi c'è stata la telecronaca in tv, su Rete Globo, la più seguita nel Paese. Dove l'atteggiamento della squadra non è piaciuto fin da subito. «Schemi spenti». Ogni 2 minuti, non a caso, si ricordava allo spettatore che «l'Italia gioca per il pareggio». Poi la delusione per Balotelli e per l'assurda ammonizione che si è preso già al minuto 20 del primo tempo. «Noi abbiamo bisogno di Mario - ha detto il telecronista con i toni concitati tipici locali - il Mondiale ha bisogno. Ma lui non c'è».
È difficile pensare che i due telecronisti supertifosi della selecao simpatizzassero per l'Uruguay. Che tra l'altro, passando il girone, si infilava diretto nella parte di tabellone dove ai quarti c'è il Brasile, per la temuta rivincita di 64 anni fa. Infatti non simpatizzavano. Ma anche così non hanno per nulla stigmatizzato il messicano signor Rodriguez: dopo tutti i replay del mondo l'espulsione di Marchisio è stata giudicata meritata. E così è su tutti i siti web del Paese. «Ha perso la testa con quell'intervento». Punto e basta. L'imparzialità è dimostrata dalle immagini del morso di Suarez: «Incredibile gesto». Che però non è stato visto subito. Un errore arbitrale non averlo sanzionato, lo hanno riconosciuto tutti. Ma molto più grave l'errore «di non aver tenuto a uomo Godìn», il difensore centrale della Celeste e dell'Atletico Madrid che anche i meninos da rua (bambini di strada) carioca sanno avere il vizio di fare quel gol su calcio d'angolo.

Fine della storia. E di un'avventura che pure era iniziata nel miglior modo possibile già dall'anno scorso, alla Confederation. Con un entusiasmo e una curiosità rare, cresciute piano piano intorno agli azzurri che sbarcavano qui da tetracampeao. Roba che conta da queste parti. Gli unici che erano venuti con la possibilità di eguagliare il Brasile, in casa loro, nel numero di Coppe conquistate.

Una nazionale temuta e rispettata, la sola che ha sfidato la selecao due volte nelle sei finali disputate. Ma anche quella che ha prodotto la ferita più inguaribile di tutta la storia recente del calcio verdeoro: la partita del Sarria di Barcellona nel 1982. Invece niente. Sud Africa Humanum, Brasile Diabolicum.

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