Johan Cruyff si affidò a quattro giocatori baschi per cominciare a vincere con il Barcellona. A domanda di un incuriosito giornalista italiano, rispose: «Li ho presi perché i baschi sono coraggiosi, non hanno paura di nulla». E aggiunse la sua teoria del bello calcistico: «La qualità senza risultati è inutile, i risultati senza qualità annoiano». Sei scudetti sono qualità e risultati, ma bisogna avere uomini coraggiosi. I baschi della Juve sono sei. Sempiterni, sempre scudetto-presenti e, pare, sempreverdi. Anche loro diventeranno una cantilena, una sorta di filastrocca riservata agli immortali del nostro pallone, uno di quei ritornelli che noi italiani siamo abituati a snocciolare come fosse una canzone di successo: Sarti, Burgnich, Facchetti. Zoff, Gentile, Cabrini. Tassotti, Costacurta, Baresi, Maldini
Ora abbiamo fatto l'orecchio a Buffon, Lichsteiner, Barzagli, Bonucci, Chiellini. Poi va aggiunto Marchisio che, per necessità di ruolo, non entra nel refrain, ma si è preso la parte dello juventino doc, l'unico da capo a piedi: nato a Torino, tifoso con maglia fin da piccolo, poi certo la vita è tutta una sorpresa e si è ritrovato sposato ad una tifosa del Toro. A Bonucci è capitato con il figlio.
Le storie del calcio sono belle, controverse ed anche dispettose. Chi avrebbe mai pensato, per esempio, che i pezzi forti della Signora torinese sarebbero arrivati dalla Toscana? Dove il bianconero non sempre è un colore di successo. Buffon nato a Carrara, Barzagli a Fiesole, Chiellini a Pisa. Bonucci non fa testo essendo nato a Viterbo, e Lichtsteiner è uno svizzero molto all'italiana, dal punto di vista caratteriale.
Questa è la fortezza, questi sei uomini, ormai tutti oltre i 30 anni, che hanno sorretto la Juve e cominciato a infilare scudetti come fossero caselle del Monopoli. Ogni squadra ha cuore e anima depositati nello spogliatoio. Rocco parlava di Maginot sul campo, commissione interna nello spogliatoio. Nel Milan di Sacchi e Capello la filastrocca difensiva era ogni uso. All'Inter del Triplete funzionava il patto dell'asado, passaporti argentini per dare forza e disciplina.
Quelli della Juve sono cresciuti insieme, hanno camminato insieme, prima sono stati muro, ora fortezza. Diventati grandi in ogni senso. Un avamposto di successo è diventato un presupposto di successo. Buffon è partito con quel «non ho visto niente» sul gol-non gol di Muntari e, magari, qualche dubbio lasciato agli altri sul resto della carriera. Ora riesce ad essere decisivo e incisivo nelle chiacchiere come nelle parate. Mette le manone ovunque, anzi è tutto un gioco di mani: quando abbraccia gli avversari, sorride all'arbitro, chiude gli spazi agli avventurieri d'area. L'uomo dei palloni d'oro, anche se non li vince. Bonucci si smarrisce meno nelle chiusure difensive ed ha cominciato a pensare di essere un nuovo Beckenbauer. Non è proprio così, ma ci prova sempre. Ha amato Conte, un po' meno Allegri, ma forse un giorno gli sarà grato. Barzagli, arrivato come il più sperimentato dei difensori, non ha mai smesso di essere l'inflessibile navigatore dei rally difensivi. Wagon Licht ha portato frutti e cross sulla sua monorotaia. Marchisio ha lottato e imperato da mezzala, si è riciclato regista, ha sofferto da panchinaro, senza smettere di essere il baricentro del gruppo. Negli ultimi tempi non c'è stata immagine più incoraggiante del veder Giorgio Chiellini con la laurea fra le mani. Ci ha ricordato, per qualche verso, Pietro Mennea: pluridecorato e plurilaureato. Parliamo di tempra d'uomo.
Mennea non era bello da vedersi nella corsa, così come Chiellini è talvolta sgraziato negli interventi, ma entrambi hanno sviluppato il fuoco della voglia, della passione, del non mollare mai: tigri dentro e fuori il campo.Dice il proverbio: ogni naso par bello alla sua faccia. E questa Juve ha una bella faccia e un bel naso.
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