You know Molmenti è uno spettacolo di forza e saper vivere. You know Molmenti è un festival di cose buone e pazze e di soprannomi che non finiscono tipo Calimero perché è piccolo e nero, tipo Rambo e Rocky perché ha lo sguardo da gattone suonato di Silvester Stallone. You know Daniele Molmenti è una faccia ed è un nome che si prestano a racconti, è persino un cognome che strizza l'occhio alle cose belle da sentire, «Molmenti di gloria» il più gettonato. Ed è vero, è giusto, è sacrosanto, perché grazie al suo oro di gloria si parla, gloria sportiva e gloria nazionalpopolare dedicata a quest'Italia schiacciata dalla crisi e dall'incubo spread. You know Molmenti ci fa felici tutti perché non ha bisogno del «la» per dire la sua sul tema, ci si butta da solo, come sulle rapide artificiali del Lee Valley White Center, quando dice «non so se vincendo ho abbassato lo spread ma certo ho tenuto dietro dei tedeschi e spero sia un segnale che no, non è come si legge sui giornali, noi italiani possiamo fare la differenza, perché gli atleti non sono solo quelli sempre sui giornali, quelli che pensano di più ai titoli che ad allenarsi». Concetti ribaditi al telefono a Giorgio Napolitano. «La sua medaglia è importantissima, fa vedere che i giovani ci sono», gli ha detto il presidente della Repubblica.
You know Molmenti festeggia la sua medaglia «come un segno perché è il giorno del suo compleanno, perché cadono oggi venti anni dall'oro nel kayak firmato dal suo coach Terrazzi e, sì, ammettiamolo, è un'infilata di poesie sportive e coincidenze esagerate. You know Molmenti parla inglese come neppure gli inglesi e allora racconta e allora «you know», sai, dice e intercala ogni tre per due come fanno quelli bravi, «sai, per preparare questa olimpiade ho venduto moto e baracca, mi sono pagato le spese e ho preso un appartamento a Sydney con altri della canoa, perché in Italia non ci sono impianti». E allora ci risiamo, e allora pensi «You know» per caso l'Italia dei Campriani del tiro che vanno negli States e dei Molmenti che vanno in Australia e Cina, «you know» l'Italia minore che va all'estero per spedire medaglie a casa come facevano gli emigrati veri con i soldi della paga? Yes, we know. E sarebbe meglio metterci al più presto una pezza.
Daniele Rambo Rocky ha vinto l'oro nello sport minore più bello dell'olimpiade, roba che vista dal vivo è da brividi e muscoli e adrenalina in dosi industriali. Ha vinto come i campioni, cioè da favorito, cioè dicendolo, anticipandolo, cioè lasciandolo parecchio intendere «perché se riesco a fare ciò che so fare, non ce n'è per nessuno». Perché il kayak K1 è un misto strano e affascinante tra lo slalom speciale dello sci e i cento metri dell'atletica. Per cui bisogna essere un po' Alberto Tomba e un po' Usain Bolt, un po' fisicacci e istrioni, un po' fuoriclasse e facce da schiaffi. Daniele ha tutto questo sprizzato dentro di sé, dentro il suo metro e settantatré, «guardate che è così solo perché è pieno di adrenalina, ma poi diventa normale» dice il ceco d'argento suo amico.
L'amicizia. Il kayak è una sfida fra uomini veri che però sono amici veri, perché devono talmente faticare nell'anonimato cercando soldi e spiccioli per andare avanti che alla fine si diventa compagni d'avventura. «Io e altri, parlo di ragazzi americani, belgi, ragazzi che conosco da una vita, abbiamo preso in affitto insieme una casa a Sydney, altrimenti non ce l'avremmo fatta, se guadagnamo con questo sport? Ma dai, per una vittoria all'Open d'Australia, tempo fa, presi 500 dollari. Diciamo che in un anno va bene se chiudo alla pari».
Pensiamoci, pensateci. È a questi meravigliosi ragazzi che tirano la fine del mese, «anche se devo ringraziare il corpo forestale, prima di loro erano papà e mamma che pagavano...», è a questi atleti invisibili che affidiamo la nostra gloria olimpica mentre quelli con i molti titoli sui giornali ci tradiscono.
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