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Quella calma e la pacatezza alla cinese che hanno conquistato il presidente Zhang

La conferma del patron è l'altra vittoria del tecnico: Marotta lo voleva fuori

Quella calma e la pacatezza alla cinese che hanno conquistato il presidente Zhang

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Chi vince? Chi perde? È un bel sfogliare di margherita. Guardate la foto di gruppo e qualcosa capirete. O piuttosto ascoltate il detto e non detto del mondo interista. Simone Inzaghi, nel mezzo del San Siro lampeggiante di colori nerazzurri, sfoggiava quello sguardo che fa intendere: ora voglio vedere chi apre bocca. Comprensibile: ha visto dardeggiare tanti missili intorno alla testa sua in questi ultimi mesi. Invece lo Zhang nato con la camicia sfoggiava il sorriso tipico cinese, che dice e non dice. Salvo farsi suono, davanti alle telecamere, con la sviolinata al tecnico. «Inzaghi sarà l'allenatore dell'Inter per tante stagioni. È speciale. Molto calmo, pacato in ogni situazione: una qualità incredibile». Vero, bastava leggersi la sua tesina di laurea a Coverciano per capire che quello è il suo sangue. Ma Zhang ha aggiunto: «Ed è l'unico allenatore a non chiedermi giocatori». Salvo Acerbi. Ma forse è costato così poco, e reso tanto, da passar di mente. Non chiedere giocatori presuppone spese contenute: ovvero la ragion di Stato del giovin presidente. Missione compiuta. Insomma Conte è stato un tornado economico da dimenticare. E Inzaghi c'è riuscito. Se poi vincesse la Champions Dice la storia che sarebbe il primo tecnico italiano a mettere la coppa nella bacheca interista. Gli altri vincitori sono Helenio Herrera (due) e Mourinho. Il trionfo dell'Inzaghi di scorta (era Pippo il numero uno) potrebbe dare speranza pure ad Harry, l'altro Spare che fa notizia.

E quell'essere calmo, pacato, timoniere sicuro nella tempesta è qualità da cinese all'italiana. I cinesi veri forse sono più furbi. Ed anche questa è una particolarità che ha colpito il padrone d'Oriente e sensibilizzato il feeling. Tutto a posto ma anche niente in ordine. La terza foto di questa Inter, da tramandare ai posteri, inquadra il sorriso non sempre imperturbabile di Beppe Marotta. Chissà mai a chi era rivolto lo sguardo di Inzaghi? E quel parlare senza voler togliere sassolini dalla scarpa che, invece, si è tolto. Frasi già ascoltate, come una eco. «So chi c'è sempre stato e chi non c'era nel momento del bisogno. So quello che è successo in questi mesi». Ha attaccato nuovamente, anche in una sera di soddisfazioni. Da uomo ferito. E tanti hanno pensato a Marotta, costruttore impagabile di questa Inter nuova formula. Così com'era stato architetto della Juve pluriscudettata. Uomo di amministrazione più che talent scout. Alla Juve ha gestito gli affari economici con rigore e si è visto cosa sia accaduto quando se n'è andato. A Milano ha vinto una battaglia, ma forse non è stato altrettanto abile nel disinnescare i cattivi pensieri del tecnico. Per storia, all'Inter si muovono ombre dietro le quinte, dirigenti evergreen, gli altri passano, quelli rimangono, che sanno accattivarsi amici che scrivono. E gli allenatori si innervosiscono. Marotta non sarà mai uno che fa la guerra, ma sa accompagnare alla porta.

Stavolta Inzaghi l'ha sprangata per tempo.

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