Si chiude l'era dell'allenatore più vincente nella storia della Juventus. Massimiliano Allegri non sarà sulla panchina della Signora nella prossima stagione, dopo cinque anni, dopo cinque scudetti di fila, dopo aver vinto il settantuno per cento delle partite: nessuno come lui. Senza dimenticare le due finali di Champions League perse, ma giocate.
L'atto che sancirà la fine della storia, iniziata tra le uova e finita con undici trofei, sarà la conferenza stampa di oggi con Andrea Agnelli. Il presidente al fianco di un allenatore al capolinea. Un inedito, quantomeno riservato a pochi tipo Zidane al Real Madrid. Ma che spiega il rapporto tra i due, di stima reciproca. E la decisione di farlo alla vigilia della festa scudetto di domani sera all'Allianz Stadium può essere il modo per garantire all'allenatore l'uscita di scena all'altezza dei suoi successi. Allo stesso tempo Allegri se ne va a testa alta, non solo da vincente. Lo confermano le prime parole ricevendo il tapiro d'oro: «Cinque anni per fare la Juve. Cinque anni d'amore meravigliosi. Sceglieranno un grande allenatore, perché la Juventus è una grande società. Il futuro? Vado al mare». Il suo rifugio da sempre, ancora di più ora.
Dopo una separazione consensuale. Annunciata dall'allenatore alla squadra abbracciato a Barzagli: «Facciamo un bell'allenamento, domenica ci sarà l'addio di Andrea. E anche il mio...». Poi è arrivato il comunicato che ha certificato che in questi tre giorni si è preso atto prima di tutto della fine di un ciclo, considerato che cinque anni con lo stesso allenatore sono un'anomalia in Italia. L'addio si è consumato tra la cena allenatore-presidente di mercoledì e l'incontro a quattro del giorno dopo con Pavel Nedved e Fabio Paratici. C'è chi dice che non si sia nemmeno arrivati a parlare di rinnovo e giocatori. È mancata l'unità d'intenti, la fiducia incondizionata. D'altra parte nelle settimane scorse i protagonisti avevano già chiarito a parole la distanza. «Ho in mente la nuova Juve da sei mesi», aveva detto Allegri. «Questa squadra è difficilmente migliorabile», aveva replicato Nedved. E quando Allegri ha capito che la linea scelta era quella del vicepresidente, si è fatto da parte.
In settantadue ore dunque spazzate via le conferme dopo l'eliminazione dall'Europa contro l'Ajax. Agnelli: «Ci riproveremo con Allegri». Poi era toccato al tecnico più volte ribadire la sua volontà di continuare. Anche se agli amici la verità raccontata era un'altra. Ma ci sono voluti trentadue giorni per dirsi addio, da quel sedici aprile, il giorno della notte amara di Champions. Ora la sensazione è che tutto fosse già scritto da tempo. Segnali sparsi. A partire dalla decisione di chiudere i social dopo la tempesta di insulti post Atletico Madrid, ma sulla notte del Wanda Metropolitano si è parlato anche di confronti pesanti interni. Poi non è bastato il ribaltone firmato da Cristiano Ronaldo. E si torna all'Ajax, a quel gesto del marziano a dire «ce la siamo fatta sotto». E CR7 già da qualche partita dava segnali di insofferenza sul gioco della squadra. Difficile che il portoghese sia stato uno sponsor di Allegri, sicuramente non i giocatori che Max voleva mettere alla porta. E Dybala, Cancelo e Douglas Costa sono investimenti troppo onerosi per pensare che fossero ammortizzabili al meglio.
C'erano due vie: rivoluzionare la squadra o cambiare allenatore. La Juventus stavolta ha scelto la seconda dopo che a ogni estate aveva ritoccato profondamente l'organico.
Stavolta non sembra esserci la forza economica per un mercato imponente. Si pensa solo a ritocchi. La via di Allegri non era quella del club. Così le strade si sono separate. Chi verrà dopo dovrà fare meglio di Allegri, l'allenatore più vincente nella storia della Signora.
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