La sede del «Botafogo Futebol e Regatas» è un elegante circolo nel mare di una Rio avvolta in una strana nebbia. Ti accolgono le foto di Garrincha e Didì e una scritta che farebbe piacere al più tifoso dei milanisti: «Uno dei 12 migliori club del XX secolo». Non è un caso insomma che Clarence Seedorf sia finito qui, a migliaia di chilometri di distanza dalla sua lunga storia rossonera, «per dare una mano a questa società con un grande passato a rinascere». E qui Clarence è stato accolto come un eroe quando a luglio è approdato al termine di un viaggio che molti pensano sia al contrario: «Ma non c'è niente di strano: la vita è fatta di esperienza e questa in Brasile mi darà nuovi spunti. Certo: Seedorf sarebbe stato utile a qualsiasi squadra europea...». E al Milan? «Il Milan è sempre vicino, continuo a seguirlo. Sono stati 10 anni indimenticabili».
E allora Clarence, c'è un po' di saudade?
«Assolutamente no. Io cerco di vivere al massimo ogni esprienza che faccio, non ci sono spazi per i rimpianti».
Però 10 anni non si cancellano facilmente.
«Certo. Ma l'Italia per me non è solo il Milan. C'è stata la Samp prima e poi l'Inter, e ho imparato tanto da tutti. La vita è questa».
Al Milan arrivò proprio dall'Inter.
«Dove sono contento di essere stato, dove sono cresciuto anche come persona. Solo che in quel momento non mi convinceva più il progetto e ho deciso di cambiare».
Una scelta giusta.
«Una scelta importante e giustissima. Ma non per le vittorie, che sono state tante e che nessuno potrà mai dimenticare. Piuttosto perché sono stati 10 anni di grandissimo momenti umani e credo di aver lasciato qualcosa di importante».
Perché andarsene allora?
«Era il momento»
E perché senza salutare i tifosi?
«Perché a fine campionato non si era ancora deciso nulla. E poi il Milan è una porta aperta, in entrambi i sensi. Avevo in mente dopo qualche mese di poter tornare per salutare i tifosi, però non è mai stata una mia grande preoccupazione per il bel rapporto creato con loro, il Sig Galliani e ovviamente con il presidente Berlusconi e la sua famiglia».
Parliamo del Milan del presente, intanto.
«Premesso: io lo seguo da lontano. Però sono certo che ha una rosa superiore alla sua classifica e si riprenderà».
Merito del ritorno di Berlusconi?
«Il presidente ha sempre dato qualcosa in più, la sua energia è positiva, è il passato è lì a dimostrarlo. È importante che stia vicino alla squadra».
Ma basterà?
«Ci vogliono pazienza e pianificazione. Nel mondo ormai solo 3-4 club continuano a buttare soldi come se nulla fosse. La società mondiale è in crisi e va rispettata, sperperare denaro è un insulto, in questo momento in piu non aiuta di certo il calcio. E poi avere i migliori non sempre vuol dire vincere».
Pazienza per il Milan. Pazienza anche con Pato?
«Io non posso parlare dei suoi problemi attuali, anche se mi sembra che abbia fatto gol giusto un paio di partite fa. Dico solo che lui è un grandissimo talento: vi assicuro, io qui in Brasile non ho visto tanto di meglio».
Chi vince lo scudetto, Clarence?
«La Juve grazie alla pianificazione e allo sviluppo dello stadio avrà un grande vantaggio economico sugli altri, dato anche dal tempismo con cui si è mossa: già l'anno scorso dissi che sarebbe stata la squadra da battere per i prossimi 5-6 anni».
E la sorpresa?
«L'Inter. Non credevo potesse essere già tra le prime, ha cambiato molto. Alti e bassi sono normali, ma la squadra c'è».
Cosa c'è invece nel futuro di Seedorf?
«Finalmente un po' di vacanza. Poi, dopo la prossima stagione, vediamo. Diventare allenatore? Perché no».
Ispirandosi a chi?
«Ho avuto la fortuna di poter imparare da grandi tecnici: Van Gaal, Hiddink, Capello, Ancelotti, Eriksson. Posso rubare qualcosa da ognuno di loro».
E Allegri?
«Non
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