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Celo celo... manca. "Ecco, quello ero io"

Domani fa 80 anni il portiere famoso perché Panini scordò di stamparne la figurina

Celo celo... manca. "Ecco, quello ero io"

Quando giocava era introvabile, adesso basta andare a Gorle, a due passi da Bergamo, e lo si trova sempre, su un campetto di periferia a insegnare calcio ai bambini. Alla fantastica età di ottant'anni. Pierluigi Pizzaballa è stato per quasi vent'anni protagonista in serie A, ma sembra passato alla storia più che altro per la sua figurina introvabile della collezione Panini '63-64, semplicemente perché si erano dimenticati di... stamparla.

Ma questa storia della figurina non comincia a darle fastidio?

«No, ci mancherebbe... Diciamo che l'ho vissuta in due fasi: da giocatore mi aveva creato qualche disagio, perché sembrava quasi che disturbasse la mia attività sportiva, poi invece è diventata una cosa simpatica perché anche quando ho smesso di giocare hanno continuato a parlare di me. Sono entrato in amicizia con quelli della Panini, ero quasi diventato un loro testimonial»

E almeno lei ce l'aveva quella figurina?

«No, perché io non ho mai fatto la raccolta. Poi me l'hanno regalata. Dicono che ogni anno salga di valore. E io aspetto».

A 80 anni la troviamo ancora in campo, bella sorpresa.

«Sì, sorprende anche me, però mi piace stare con i bambini, insegnare loro i valori dello sport senza l'assillo di formare campioni. Certo, se vedo qualcuno che merita chiamo subito l'Atalanta».

Già, l'Atalanta. Le è rimasta nel cuore.

«Beh, è la squadra della mia città. Ho debuttato in B a 18 anni. Poi ci sono tornato a chiudere la carriera, giocando fino a 41».

Si sarebbe mai immaginato la sua Atalanta in Coppa dei Campioni?

«Direi proprio di no. Ma a Bergamo in questi anni con Gasperini c'è stata un'evoluzione impensabile. Ha fatto crescere anche noi tifosi: non siamo più i bortolini di una volta... Capisce il bergamasco?»

Merito di Percassi, avete giocato assieme?

«È un grande presidente, ma come giocatore valeva un po' meno».

C'è un atalantino del passato che regalerebbe a Gasperini?

«Maschio. Un centrocampista intelligente, che vedeva il gioco. Lì in mezzo farebbe ancora comodo».

Dall'Atalanta lei andò alla Roma, come fu quel passaggio?

«Tre anni magnifici. Io ero un ragazzo di provincia che approdava nella capitale, quasi con la valigia di cartone».

Poi, dopo Verona, il Milan.

«Aveva smesso Cudicini e cercavano uno di esperienza da affiancare a Vecchi. Arrivammo alla finale di coppa Uefa. Poi feci due anni il secondo a un grande come Albertosi».

E in quel Milan muoveva i primi passi da allenatore Trapattoni.

«È mio coetaneo, ma già si capiva che aveva il senso del comando. Dopo il Milan doveva venire all'Atalanta. Ma la mattina in cui venne a Bergamo per firmare lo chiamò Boniperti e alle 2 era della Juve».

Lei ha una sola presenza in Nazionale ma ha vissuto il Mondiale del '66 con la tragica Corea.

«Bastava un pari per passare il turno. E sembrava una cosa facile. Ma ci andò tutto storto. A Milano, mentre tornavamo dall'aeroporto c'era un gruppo di motociclisti che ci inseguiva e tirava pomodori».

I migliori portieri italiani di tutti i tempi?

«Partiamo da Ceresoli, grande maestro, un teorico del ruolo. Poi direi Bacigalupo. E quelli dei miei tempi, tanti e tutti forti: Albertosi, Zoff, Sarti, Anzolin...

Adesso sembra il momento di Donnarumma, ma non dà ancora le garanzie di continuità a cui ci aveva abituato Buffon».

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