Ma Champions a lezione dalla scuola italiana. Inzaghi: noi prima dell'io. Pioli: equilibrio e velocità

Le tesi scritte al corso di Coverciano: l'interista sulla gestione del gruppo, il milanista ha realizzato i suoi dogmi col Diavolo. E Ancelotti anticipava Pep: "Schemi al servizio del singolo"

Ma Champions a lezione dalla scuola italiana. Inzaghi: noi prima dell'io. Pioli: equilibrio e velocità
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ìOggi avanti il primo. Ancelotti risale sul ring di una semifinale di Champions. Ma c'è pure Guardiola, che in Italia ha ben imparato qualcosa da calciatore. Poi toccherà agli altri. Quest'anno l'armata dei tecnici italiani ha già vinto la sua Coppa: cinque (Ancelotti, Pioli, Inzaghi, Allegri e Italiano) su dodici nelle semifinali delle tre competizioni, tre su quattro in Champions. Eppoi vada come vada. Anche Guardiola e Mourinho hanno acchiappato qualcosa del nostro pallone. Non a caso, con spirito giornalistico, la Figc è andata a rispolverare le tesi di laurea, presentate al corso di Coverciano dai nostri tre tecnici occupati nelle semifinali di Champions. E le ha inviate alla lettura di chi volesse curiosare nelle idee di allenatori che tengono alta la scuola di casa nostra. Scuola calcistica prima ancora che didattica. Cosa dedurne a colpo d'occhio? Che certi valori del pallone sono universali, che la preparazione italiana non perde di vista alcun particolare che riguardi il gioco ma pure la psicologia e che l'evoluzione dei tempi si annota nella diversità degli anni in cui sono state scritte le tesi: Ancelotti nel 1997, Pioli nel 2002-2003, Inzaghi nel 2013-2014. Eppure il calcio non si è rivoluzionato nei concetti che puntano alla vittoria. Anzi, Ancelotti è partito proprio dalla difficile vita dei tecnici, costretti a difendersi da critiche ed esoneri. In Italia siamo maestri in tal senso. A sua volta la scuola nostrana si è creata la fama partendo da certezze difensive. E da tal pilastro è rimasto. Semmai si gioca con le variazioni sul tema. In fin dei conti le difese italiane sono state muro per gli avversari dei quarti di finale. Poi, certo, Ancelotti ha tal qualità nel Real da proporre di tutto un po'.

Semmai nella tesi di Carlo Martello si intravedevano i riflessi della scuola sacchiana dove l'evoluzione si leggeva nella proposta per il futuro: un calcio più dinamico. Ovvero a Coverciano si parlava di calcio più dinamico, non solo nel senso insegnato dall'Ajax, quando altrove ancora non lo avevano capito e Guardiola era un calciatore del Barcellona. «Gli schemi non sono contro l'interpretazione del singolo - dice Ancelotti- ma lo sostengono nei momenti difficili». Dagli schemi all'organizzazione il passo è breve. E se Pioli ha spiegato, venti anni fa, quello che vediamo nel Milan di oggi: compattezza ed equilibrio in fase difensiva, efficacia e velocità in quella offensiva con un sistema di gioco equilibrato, elastico e razionale, Simone Inzaghi, reduce dalle esperienze di allenatore nelle giovanili della Lazio, aveva già capito la dura vita che gli sarebbe capitata a Milano. Il suo tema sulla gestione del gruppo ha dipinto l'importanza di usare intelligenza con serenità e fermezza. Una buona lettura per chi lo accusa oggi di essere troppo indulgente.

Il punto di partenza è il «noi al posto dell'io», quello di arrivo la capacità di prevenire o riconoscere conflitti, saper tollerare, gestire bene i campioni: «Altrimenti non raggiungi i traguardi sperati». In questo anno di coppe i cinque tecnici nostri, ognuno a modo suo, hanno tramutato le parole in fatti. Così è il calcio italiano.

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