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«Chissà come sarei stato con le mie gambe Tengo stretta questa vita»

Il campione: «Sono un uomo felice e orgoglioso di rappresentare Bmw. Mi preparo per Tokio 2020»

Cesare Gasparri Zezza

Barberino di Mugello (Fi) La passione per le auto, Sandrino, come lo chiamava papà Zanardi, la coltivava da piccolo. Il genitore, una sera tornando a casa, trovò il piccolo Alex che dormiva nel suo kart. Sogni di gloria che il destino ha infranto il 15 settembre del 2001 sul circuito tedesco del Lausitzring.

Alex, sono passati tanti anni, ti capita ancora di guardare indietro?

«Mi dispiace che ne siano passati cosi tanti, ma allo stesso tempo è stato bello vederli passare. Forse è anche in virtù di quello accadutomi che mi si sono aperte mille possibilità. Molte delle mie attività, se non tutte, sono connesse alla mia nuova condizione. L'atteggiamento ha fatto la differenza: è accaduto, vediamo cosa ne possiamo tirar fuori».

Ti ha cambiato quel giorno?

«Molto poco; potendo, avrei fatto certe scelte anche prima».

Oggi sei Bmw Ambassador, cosa significa?

«Sono molto orgoglioso di rappresentare Bmw. Quando mi metto al volante le persone mi seguono con gioia e partecipazione. Mi scalda il cuore. Per l'azienda che rappresento questo affetto è un risultato importante».

Ti domandi mai «se avessi fatto una manovra diversa...» o «se non fossi sceso in pista quella mattina...».

«Sì. Anche se può sembrare assurdo, ripenso di più a una gara a Laguna Seca dove ho fatto un sorpasso al Cavatappi all'ultimo giro. È stata la mia gara più bella in terra americana. Un ricordo nel cuore degli appassionati che possono riviverlo su Youtube. Sono accadute talmente tante cose belle che va benissimo cosi. Mi tengo stretta questa vita diversa che quello sliding door ha prodotto. Ho fatto talmente tanta strada, che se mi si offrisse di risvegliarmi domani mattina con le gambe addosso, perché quel giorno invece di sterzare a destra avevo sterzato a sinistra, se l'incidente non fosse mai accaduto... Non so come avrei vissuto tutti questi anni con le gambe che mi ha fatto la mamma e non con quelle che mi hanno fatto al centro protesi. Correrei anche il rischio di svegliarmi non così contento o cosi soddisfatto rispetto a come io sia oggi».

Ti reputi fortunato o sfortunato?

«Io sono un uomo fortunato. Grandi soddisfazioni in ambito sportivo e una vita molto semplice. Ci sono momenti in cui tutta questa popolarità è una scocciatura, non perché sia brutto ricevere un complimento, ma perché magari vieni interrotto mentre sei concentrato a fare altro. Sono un uomo felice e bacio i gomiti per quello che ho avuto».

Hai 52 anni e sei al vertice nel Paraciclismo e nell'Ironman. La ricetta?

«Fare cose che ti appassionano. Quando tagli il traguardo, per bene che hai fatto, sei subito assalito dalla nostalgia di aver chiuso quel capitolo della tua vita che ti ha divertito tantissimo. Questa sensazione l'ho avvertita a Londra alla mia prima Paralimpiade, tagliando il traguardo davanti a tutti. Il sentimento più forte che provavo era di aver chiuso un capitolo durato tre anni. Ricordo ogni goccia di sudore versato per arrivare alla gara. Londra era l'orizzonte che avevo deciso di inseguire, ma poi... Sapevo che ci sarebbero stati altri progetti, ma in quel momento ero un po' un triste. Non bisogna avere fretta di portare a casa il risultato. Bisogna riempire la vita di tanti tentatitivi, i risultati arrivano».

Hai meditato su quando sarà il tuo ritiro?

«Non siamo onnipotenti, dobbiamo passare delle giornate allenandoci per portare a casa un risultato soddisfacente. Se per arrivare 20° hai dato il massimo, sei soddisfatto. Nel 2020 sarò in Giappone e dovrei portare a casa una medaglia. Fino a quando mi diverto e riesco ad allenarmi vado avanti».

Lo Zanardi pubblico è sempre sorridente. E quello in famiglia? «Anche io ho giornate storte. A volte mi arrabbio per delle sciocchezze; in altri momenti mi passa sopra un camione e mi viene da ridere».

Quali insegnamenti vuoi lasciare a tuo figlio?

«È più difficile lasciare un buon consiglio che affrontare una rampa di scale. In mio padre ho generato grande frustrazione quando cercava di insegnarmi qualche cosa, convinto, almeno in quell'ambito, di possedere la verità per l'esperienza acquisita. E io facevo spallucce e a volte il contrario. Adesso, quando mi trovo da solo nel capanno degli attrezzi, mi viene la pelle d'oca: vedo le sue mani mentre prendo quegli attrezzi e faccio le cose come me le aveva spiegate e come le faceva lui. Come c'è riuscito lui con me, spero di fare altrettanto».

Come è possibile aiutare le persone con disabilità?

«Devono iniziare loro, da dentro. A volte mi fermano e mi dicono: Manda un messaggio a mio cugino, aiutalo a tirarsi su. Lo faccio sempre con piacere, ma quella forza non posso essere io a darla, deve arrivare da dentro.

Devono sentirsi il fuoco per ripartire».

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