Colto, leale, signore Addio a Bonetto e al calcio che fu

di Tony Damascelli

Stavamo passeggiando e parlando di Pulici e Bettega, tranquillamente, sotto i portici di via Pietro Micca, quando Beppe, d'improvviso, si fermò davanti alla libreria Petrini, sbirciò il titolo di un volume in vetrina, entrò, acquistò un libro, me lo consegnò, come un regalo, «Leggilo, rifletti, penserai con me». Era «Le ceneri di Angela», di Frank McCourt, la narrazione di un bambino davanti a una esistenza misera e infelice nella terra d'Irlanda, prima del grande viaggio della promessa e della speranza, l'America. Beppe, Beppe Bonetto era questo, colto, elegante, garbato, competente, un uomo prestato al calcio e allo sport, un signore di un tempo che non esiste più e se l'è portato via in questo autunno che sembra non avere senso. Bonetto è stato l'uomo dello scudetto del Toro, il direttore sportivo con Orfeo Lucio Pianelli presidente, era il 1976 e di contro c'era la Juventus, dunque fu, quel titolo granatissimo, un'impresa. Gli mandai un telegramma: «Congratulazioni ma che sia la prima e l'ultima volta». L'aveva incollato al muro, alle spalle della sua scrivania, ghignando per l'amicizia che ci univa, al di là del tifo calcistico e della professione. Bonetto era un professionista vero, leale, onesto, dunque non adatto al cortile polveroso e lercio che prendeva a contaminare il mondo del football.

Suo figlio Marcello ne prosegue il lavoro con la dignità del cognome e suo nipote Federico, con l'ironia, a volte malinconica, dunque gentile. Beppe ci ha lasciato, in silenzio, come aveva saputo vivere e lavorare. Sotto i portici di via Pietro Micca, anche la libreria Petrini non esiste più.

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