Una divisa sacra, per molti. Un numero che ha fatto la storia in qualsiasi epoca e in qualsiasi nazionale. Ma oggi che Antonio Conte ha assegnato il 10 azzurro a Thiago Motta, nessuno si sorprende se si parla di "decadenza della maglia mito". Tanto più che l'oriundo del Psg è un dieci di riserva in questo gruppo, dove la regia è affidata a Daniele De Rossi. Che ha scelto il 16, quello della Roma da anni, ma che il dieci lo indossò nel 2008 in Austria e Svizzera in una nazionale in cui c'erano pure Del Piero, Di Natale e Pirlo.
Andando indietro fino al 1968, anno dell'unico successo continentale dell'Italia, scopriamo classici 10 come Antognoni e Rivera. Un tempo la numerazione seguiva l'ordine alfabetico o per ruolo: così troviamo nell'elenco degli eletti nomi come quelli di Facchetti, Bertini, Dossena, Benetti, Bagni, De Agostini, Berti o Albertini. Ma anche quelli di Roberto Baggio e Francesco Totti, oltre che di Cassano che la maglia numero dieci vestì a Euro 2012 e nel disgraziato Mondiale brasiliano.
Detto che Conte si è definito lui stesso il vero dieci di questa Nazionale, il ct leccese non ha voluto caricare di aspettative giocatori come Insigne e Bernardeschi, che non hanno ancora i galloni del titolare e che stasera saranno impiegati in corso d'opera per sperimentare nuove idee tattiche. La scelta, quindi, in assenza di Verratti e Marchisio è ricaduta - tra le proteste furiose sui social network - su Motta, che ha le spalle abbastanza larghe ed esperienza internazionale per indossare il mitico numero senza esserne oppresso.
D'altronde il 34enne brasiliano di Sao Bernardo do Campo, diventato italiano grazie al nonno di Polesella di Rovigo, è l'azzurro più titolato di questo gruppo: 21 titoli vinti tra Spagna (Barcellona), Italia (Inter) e Francia (Psg), con due Champions alzate. Tre in più di Buffon che pure ha sollevato a Berlino una Coppa del mondo. Dunque non è un giocatore scarso, o almeno non sembra aver rubato il posto a qualche fuoriclasse assoluto rimasto a casa. È il centrocampista italiano che ha maturato più esperienza internazionale, tanto che negli ultimi anni il Psg è una presenza costante nella fase a eliminazione diretta della Champions. Fondamentale, poi, il suo ruolo nella marcia trionfale nel 2010 dei nerazzurri di Mourinho, pur non giocando la finale per un'ingiusta espulsione rimediata contro il Barcellona.
L'oriundo poco amato dai tifosi per il suo proverbiale andamento compassato in campo è stato ripescato da Conte dopo quasi due anni di assenza dall'azzurro. La qualificazione, il ct, l'ha costruita senza l'ex Genoa e Inter, ma non poteva fare a meno dell'esperienza da leader di uno che un giorno potrebbe fare l'allenatore, magari - è il suo sogno - proprio del club parigino. E ora che è all'ultima chance in Nazionale (difficilmente il nuovo ct Ventura lo porrà come punto fermo del biennio verso i Mondiali di Russia) è impelagato nel dualismo tra senatori. Anche se il suo alter ego De Rossi, per ora davanti nelle gerarchie di Conte, ha invitato tutti a "sciacquarsi la bocca" quando si parla del calciatore del Psg. "Vestire l'azzurro per me è un onore ma se mi criticate ci sta, io lento lo sono sempre stato, ho altre qualità. E quest'Italia, a differenza di quella del Brasile dove è mancata la coesione, ha idee chiare e spirito di sacrificio per i compagni di ognuno dei 23. Per quanto mi riguarda, non ho scelto l'Italia per convenienza", così in una recente intervista Thiago Motta. Che per ora porterà il fardello del dieci partendo dalla panchina.
Non stasera, in una gara inutile per gli azzurri, ma non per Conte che vuole risposte da chi all'Europeo ha rischiato di non arrivare. "Perché uno così in Italia non ce l'abbiamo...", disse di lui il ct. Ma se il numero 10 non avesse più tutto questo valore simbolico che gli viene attribuito?
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