Stavolta le parole sono come sassi. Qualcuno penserà, e con qualche giustificazione: Conte, scopri solo adesso che il calcio italiano ha preso un brutto verso? Meglio tardi che mai. Il ct non ha usato mezzi termini per tracciare lo schizzo di questo pallone nostro e l'identikit del giocatore moderno: svogliato, lontano dalla fatica e con troppi diversivi in testa. Non è solo la fotografia di un Balotelli, ormai snobbato e lasciato al destino suo («Non ho tempo per farlo crescere») al di là di comportamenti che, stavolta, non sono stati sgradevoli. Ma ce ne sono tanti altri. Alcuni giovani azzurri hanno indotto Conte a rivedere i criteri di selezione, c'è chi ha preferito sentir male e tornare a casa (leggi Verratti) o non ha dimostrato grande voglia di emergere. La sintesi è un grido d'allarme: «Non c'è più la voglia di faticare. E invece dobbiamo tornare ad apprezzare fatica e lavoro, oppure questo sarà solo l'inizio della discesa». Un esempio da prendere? La storia di Acerbi. «Lui è un simbolo della vita: pensi che ti va tutto bene e poi ti arriva la mazzata. Vale per tutti noi: per la forza e il coraggio nel rialzarsi».
Tre, invece, gli atti d'accusa. Al calcio italiano e alla sua mentalità: «Dobbiamo prendere atto che non stiamo andando nel verso giusto come movimento. Sapevo che non era facile: io ci metto tanto entusiasmo, la voglia di far crescere i giovani. Ma spesso si dimentica quale è la situazione e si vuole tutto e subito. L'Italia fa fatica a sfornare talenti, e quelli che escono non hanno la giusta mentalità. Dobbiamo capire che viviamo un difficile ricambio generazionale e tornare ad essere umili, ad apprezzare l'importanza della fatica e del lavoro, necessari per diventare campioni».
Seconda accusa: ai giovani. «El Shaarawy ha fatto bene, ma sono stati solo 10 minuti. Questi ragazzi devono trovare continuità. Sappiamo di dover migliorare su tutto: intensità, preparazione fisica, dimentichiamo che la fatica è bella. Manca un po' a tutti la voglia di tornare protagonisti».
Terza accusa al modo di accettare la nazionale. Da tecnico di club, Conte vedeva le cose per un verso. Ora sta sulla sponda opposta. Forse poteva pensarci prima. «Sinceramente, pensavo di vedere più partecipazione alle sorti della nazionale, e invece non sempre quel che vedo da questa panchina mi piace. Giocheremo la prossima partita a marzo: ecco, se ci si tiene alla nazionale bisogna cercare di non lasciare un vuoto di quattro mesi».
Infine il caso Balotelli. Il ct ha mostrato in tutti i modi la sua insofferenza: sia nella partitella quando lo ha visto correre poco e lo ha fatto sapere ad alta voce, sia in allenamento dove soffre i ritmi alti, sia nell'apprendimento tattico. Ma non c'era bisogno di convocarlo per conoscere l'anarchia tattica di SuperMario. Troppo lontano dal suo ideale di calciatore. I problemi muscolari, la pubalgia, veri o presunti, sono stati il miglior modo di salutarsi senza far rumore. Forse Balotelli è simbolo di una generazione perduta del calcio. Conte non è categorico, ma ne farà volentieri a meno. Non ha tempo per stargli dietro. Certamente non ne ha voglia. «Sta a lui cambiare. Purtroppo non ho tanto tempo: su certi giocatori non bastano pochi giorni ma serve un periodo lungo».
E, in questo caso, i suoi colleghi sono il miglior alibi. «Mancini, Mourinho e Allegri non sono riusciti a cambiarlo. Non sono così presuntuoso da pensare di essere diverso da grandi allenatori come loro». Pur di disfarsene, un colpo basso perfino all'autostima.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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