Stavolta il fattore C ha un significato diverso. Il fattore C preceduto dal fattore A sta per Antonio Conte. Questa Juventus è sua al cento per cento, nella testa, nel cuore, cioè di intelligenza e di temperamento. L'intelligenza significa leggere la partita, prima e durante, il temperamento è quello di saper raggiungere risultati anche non avendo a disposizione i migliori rappresentanti del nostro campionato.
Conte ribalta quello che da sempre è stato il dato caratteristico della Juventus: prima era la società ad avere la percentuale più alta nel peso totale, gli Agnelli, Boniperti, Giraudo e Moggi sono stati, con situazioni diverse, opposte, sgradevoli, i punti di riferimento; quindi veniva la squadra con i suoi interpreti principali, da Charles a Sivori, da Baggio a Platini, da Zidane a Ibrahimovic, da Nedved a Trezeguet; l'ultima parte riguardava l'allenatore, da Parola a Vycpalek, da Trapattoni a Lippi, da Ancelotti a Capello, cognomi tutti di grandissima qualità, vincenti ma presenti, nei libri celebrativi, non in prima fila.
Oggi i rapporti si sono invertiti: l'allenatore ha preso il sopravvento, il suo lavoro ha trasformato la squadra, lo spogliatoio, non si registrano polemiche, mugugni, ribellioni nonostante il turn over continuo; Conte sta alla Juventus come Mourinho è stato alle squadre che ha guidato, compreso il Real dello scorso anno, non quello contemporaneo: allenatore, dirigente, capopopolo, uomo di comunicazione, con una sola differenza fondamentale rispetto al leccese: il portoghese ha avuto sempre a disposizione un parco giocatori e il libretto di assegni per un mercato colossale. In secondo piano, oggi, ci sono i calciatori, questi non sono i top players del calibro di quelli citati in precedenza; infine arriva la società, oggi guidata da Andrea Agnelli con carichi pesanti di bilancio e uno staff non della stessa perizia dei loro predecessori e con un portafoglio meno gonfio.
Il totale, dunque, è di Antonio Conte e basta, con tutte le controindicazioni, un carattere scontroso ma vero, in una stagione caratterizzata dalla vicenda dell'omessa denuncia e da tutto quello che ne è derivato, compresi gli insulti e le insinuazioni.
Le voci di una sua partenza dalla Juventus o dall'Italia sono verosimili anche se non attuali. Conte ha voglia di essere protagonista sempre, magari avendo a disposizione un budget per operazioni di mercato di assoluto livello, cosa che non può ricevere dalla Juventus e da nessuna altra società nostrana. Dunque i suoi pensieri sono comprensibili, lo studio della lingua inglese, quasi perfetta (stando all'opinione dei dirigenti dell'Everton che sono stati a Torino per seguire gli allenamenti dei bianconeri e hanno dialogato con l'allenatore), è un segnale di intelligenza e di aggiornamento.
La Juventus dopo sette anni ha riscoperto di essere più temuta e ammirata, per il suo gioco, per la qualità delle sue partite. Prima era la società più odiata, la più avvantaggiata dagli arbitri.
Quando Antonio Conte ha abbracciato Esteban Cambiasso, proteggendolo nella zuffa finale dopo il fallo su Giovinco, si è avuta la conferma che le polemiche sull'esultanza di Bologna erano fuffa creata per non parlare della vittoria e del primato juventino. Ora c'è l'Europa con la champions contro il Bayern di Monaco e il discorso diventa un altro. Ma l'allenatore resta lo stesso.
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