Coraggio e fedelissimi, è l'Italia di Ventura

La lezione del ct: in 10 ha tenuto due attaccanti. E poi si è affidato a Ogbonna e Immobile

Domenico Latagliata

Ha fatto in fretta a sentirsi accerchiato. E magari ha pure sbagliato a farlo sapere in giro. Perché, a 68 anni, Giampiero Ventura dovrebbe sapere come funziona il calcio in Italia quando gioca l'Italia: tutti commissari tecnici, tutti intenditori, tutti pronti a sparare ad alzo zero. Salvo poi salire sul famoso carro. Detto e fatto, ecco.

L'Italia battuta in amichevole dalla Francia meritava pernacchie e poco più, quella che ha vinto in Israele in inferiorità numerica non è ancora degna di poemi omerici ma è piaciuta. Anche e soprattutto per come ha saputo soffrire essendosi trovata in dieci contro undici, quando lo stesso Ventura ha poi sorpreso la critica e magari pure qualche giocatore con sostituzioni per nulla conservatrici: era obbligatorio inserire un difensore dopo il rosso a Chiellini, certo, ma Ogbonna ha preso il posto di Bonaventura, la difesa è rimasta a tre e soprattutto in attacco sono rimasti in due. Con Florenzi che ha poi sostituito Candreva e Immobile che ha dato il cambio a Eder: Pellé non è così rimasto solo soletto e la rete della sicurezza è giunta proprio da una giocata che ha visto protagonisti i due attaccanti. Insomma: almeno fino alla prossima sfida contro la Spagna (6 ottobre, allo Stadium di Torino), Ventura potrà dormire tra due guanciali e magari farsi una risatina di fronte a chi raramente ha apprezzato il suo modo di proporre calcio.

I giocatori peraltro paiono essersi sintonizzati in fretta con il nuovo corso: ha cominciato Buffon («il mister è arrivato nel posto giusto al momento giusto, con lui nulla è improvvisato»), ha proseguito Verratti («ha messo dentro qualcosa di Conte perché non aveva tanto tempo per lavorare, ma ci ha dato due-tre dritte: è uno che capisce molto di calcio, un grande allenatore») e pure Candreva gli è andato dietro («lavoreremo sulle certezze che ha cominciato a trasmetterci»).

Su Immobile, poi, non era e non sarà lecito avere alcun dubbio: con Ventura è esploso nel Toro, fino a diventare capocannoniere della serie A permettendo poi a Cairo di incassare una ventina di milioni dal Borussia Dortmund. Fedelissimo era e fedelissimo rimarrà al pari di Ogbonna, lui pure cresciuto in granata sotto la guida dell'attuale commissario tecnico prima di attraversare la sponda del Po accasandosi alla Juve per 13 milioni (più due di bonus): anche il difensore ha fatto il suo in terra israeliana e, insomma, alcuni dei timori su come sarebbe cominciato il post Conte hanno cominciato a dissolversi. Dopo di che, è inutile pure aspettarsi che Ventura abbandoni le sue classiche braccia conserte per dimenarsi nei balletti Conte style: i due sono diversi in tanto anche se non in tutto, vedono il calcio in maniera certamente diversa (più compassato il modello dell'attuale ct, indubbiamente meno maniacale e monoteista del suo predecessore) ma non opposta e comunque appartengono a generazioni diverse con tutto quel che ne consegue.

L'Italia pallonara potrebbe anche avere di che giovarsi di un approccio un po' più soft, magari sulla scia di quello che è capitato alla Juventus quando è arrivato Allegri. Basterà forse non farsi condizionare dai pregiudizi e non buttare nel fosso a prescindere, direbbe Totò - un concetto grazie al quale il nostro calcio ha costruito tanti dei suoi successi: il contropiede, certo. Venuto buono già in Israele, per necessità più che per scelta.

Ma interpretato a testa alta, con due attaccanti veri sempre in campo e un risultato infine pienamente legittimo e legittimato. Contro la Spagna verrà (nuovamente) buono pure lui, purché ovviamente non si rinunci a giocare appena possibile.

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