«Brocchi si nasce, campioni si diventa». Il nuovo allenatore del Milan non vede l'ora di tirare fuori dal cassetto la maglia celebrativa per la vittoria nella finale di Champions 2003. È il suo motto, se sarà bravo diventerà anche la miglior risposta all'ironia del web, impazzito a suon di sfottò. Accolto con diffidenza e con titoli scontati, «la squadra di Brocchi», va per la maggiore. Ma i rossoneri si ricordano anche le battute su Kakà. Poi cancellate dalla storia.
Quella che sogna di riscrivere il quarantenne Cristian Brocchi. Milanese di nascita. Milanista da sempre. Le giovanili in rossonero. E poi due Champions, senza giocare le finali, ma in panchina a soffrire e incitare. Anche portafortuna, Cristian. Perché a Istanbul andò in tribuna e finì come finì. Ha chiuso la carriera nella Lazio, dopo un brutto fallo di Matuzalem. Non ha fatto in tempo ad appendere le scarpe al chiodo che il Milan gli ha affidato una squadra delle giovanili. Da dove tutto è iniziato. Perché da Milanello è entrato e uscito come si fa da casa. Come ha fatto anche da Arcore negli ultimi due anni. Perché già l'anno scorso si faceva il suo nome per sostituire Inzaghi. E che l'ascesa di Brocchi nelle gerarchie presidenziali fosse inarrestabile lo confermano i maliziosi retroscena sui migliori «primavera» convocati da Superpippo quasi a voler rendere difficile la vita all'ex compagno. Ma non fu per quello che non se ne fece nulla un anno fa. Fu solo un rinvio. Il tempo di un'infatuazione di riflesso per Mihajlovic. Si racconta che Berlusconi si sia convinto a puntare su Cristian ascoltandolo commentare le partite viste insieme ad Arcore. E ora la panchina del Milan è realtà per Brocchi. E forse di buon auspicio è stata quella rimpatriata dopo il funerale di Cesare Maldini, in un ristorante all'ombra del Duomo. Tanti ex compagni al tavolo, Ambrosini e Borriello e Costacurta. Non c'era l'amico Vieri, sempre dall'altra parte dell'Oceano. Ma Bobo c'è sempre per Cristian. A proposito un affare non riuscito e quel cognome tirato in ballo nel calcioscommesse e poi escluso dall'inchiesta, sono solo parentesi.
Ieri prendendo la via di Milanello dopo aver salutato al Centro Vismara i suoi ragazzi, ci avrà pensato a quel Milan che vinceva tutto. Proverà a ricostruirlo a immagine e somiglianza di quella Primavera che non ha conosciuto vie di mezzo, vincere o perdere, il pareggio uno sconosciuto. Sempre all'attacco. In perfetta filosofia presidenziale. Ritroverà quel Donnarumma che per primo ha lanciato, il baby più baby degli allora suoi allievi regionali. Ora mette Calabria e Locatelli in rampa di lancio. Avrà a disposizione sei partite (più una). Come Fabio Capello quando prese il posto di Nils Liedholm. In campionato tre vittorie, due pareggi e una sconfitta per Don Fabio. Che riportò il Milan in Europa vincendo lo spareggio per la Coppa Uefa con la Sampdoria. Brocchi non solo come Capello potrà riportare i rossoneri nelle competizioni europee, ma in più avrà anche la possibilità di alzare un trofeo. La Coppa Italia. Contro la Juve che con la primavera al Viareggio gli ha rifilato una lezione. Occasione di rivincita.
A Capello l'Europa non bastò per la riconferma. Al suo posto fu chiamato Sacchi, ma tre anni dopo toccò sul serio all'allenatore friulano e si rifece con gli interessi. Ora c'è Brocchi, contratto fino a giugno. Una sorta di don Fabio anche se è uno dei tanti «figli» di Carlo Ancelotti.
Se non dovesse arrivare la conferma, potrebbe toccare a Eusebio Di Francesco, novello Sacchi. Visto come è andata ai predecessori, ci metterebbero entrambi la firma. Perché «Brocchi si nasce, campioni si diventa». Lo dice Cristian.
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