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Una Croazia all'italiana anche per cancellare la Calciopoli di Zagabria

Come gli azzurri nel 2006, Mandzukic & C. oscurano lo scandalo del boss della Dinamo

Alec Cordolcini

Quando nell'estate del 1998 la Croazia chiudeva il Mondiale francese con uno spettacolare terzo posto, Zlatko Dalic era agli sgoccioli di un'onesta carriera da mediano, non sufficiente per ottenere almeno una presenza con la maglia dei Vatreni. Il bomber di quella Croazia era Davor Suker, oggi presidente della federcalcio locale, mentre il ct era Miroslav Ciro Blazevic, nel 2005 sostituito sulla panchina del Varteks proprio da Dalic, in quella che fu la sua prima esperienza da allenatore. Nessuno avrebbe potuto immaginare che, meno di quindici anni dopo, i due si sarebbero trovati fianco a fianco nella hall of fame del calcio croato.

Dalic non era nemmeno granché quotato quando, lo scorso ottobre, fu chiamato per sostituire il licenziato Ante Cacic, con la squadra a rischio eliminazione addirittura nei gironi di qualificazione. Del resto, fino a quel momento la sua era stata una carriera sottotraccia, spesa tra Croazia, Albania, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. Eppure la federcalcio croata, a differenza di quella italiana, aveva deciso di rompere gli indugi e cambiare un tecnico che aveva ormai perso le redini della squadra. Dalic, dopo aver debuttato con un fondamentale 2-0 all'Ucraina, ha condotto la Croazia a un doppio successo nel play-off contro la Grecia.

Struttura. Questa la parola chiave per comprendere la filosofia calcistica di Dalic. Da buon ex centrocampista difensivo, il tecnico di Livno (città bosniaca a maggioranza croata) bada al sodo, conosce il valore ma anche la discontinuità delle proprie stelle, e cerca quindi di inserirle in un contesto più strutturato possibile, nel quale la squadra sappia sopperire all'eventuale passaggio a vuoto del singolo giocatore. Significativo il fatto che con lui Modric giochi in un ruolo più offensivo, protetto da Brozovic e Rakitic. Quando, alla vigilia della partita contro l'Argentina, gli chiesero se sapeva come fermare Messi, lui rispose: «Non esiste un singolo giocatore capace di bloccarlo, ne ce ne sono due. Solo lo sforzo congiunto di tutta la squadra può farlo».

Una selezione cementata attraverso un approccio comunicativo ma deciso, né sergente di ferro ma nemmeno amico dei giocatori, vedi la cacciata di Kalinic a Mondiale in corso. La pattuglia di italiani si è pertanto ridotta in quantità (da 7 a 6) ma non a livello di funzionalità, viste le reti decisive in semifinale di Perisic e Mandzukic, e l'ottimo Mondiale disputato fin qui da Strinic e Brozovic, con i soli Badelj e Pjaca nel ruolo di comprimari.

Dalic è stato inoltre abile a tenere la squadra al riparo dalle turbolenze esterne che avrebbero potuto ridurla in frantumi per via del processo all'ex boss del calcio croato Zdravko Mamic. Da un lato infatti ci sono Modric e Lovren, testimoni reticenti al processo (tanto da rischiare un'accusa di falsa testimonianza), dall'altro Kramaric, mai piegatosi alle richieste di Mamic e che, proprio in virtù di tale scelta, ha rischiato la carriera. Perché il calcio croato non sta vivendo un grande momento, visto il verminaio scoperchiato dal processo.

Ma, almeno per un mese, Dalic e i suoi ragazzi hanno sostituito l'incubo con un sogno.

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