La vita di un campione non dovrebbe mai finire. Nemmeno la morte può cancellare la storia e la memoria di una carriera. Diego Armando Maradona si trascina una vita di momenti miserabili che mai dovrebbero appartenere a quello che è stato uno dei più grandi, assieme a Pelé, interpreti del football. Un filmato in rete, nemmeno vigliacco perché lo ha girato uno dei suoi compari, lo riprende mentre, tenendo per mano la sua ex compagna Veronica Ojeda, tenta di ballare, sulle note di Bombon Asesino, cantato dai Los Palmeras. Potrebbe darsi di un video datato, roba antica tirata fuori dalla cassapanca dei veleni, Diego è un bersaglio facile per le iene dei social. Tristissima scena, comunque, in un contorno anonimo, un tinello, un paio di amici, Diego si muove faticosamente trascinandosi sulle ciabatte pure queste malinconiche per due piedi che hanno fatto ubriacare il mondo. Ma la storia non è più quella di Barcellona e di Napoli, non è più quella dell'Argentina, si è fatta cronaca, è agonia di un fuoriclasse che vive un tramonto indegno. Diego Armando farfuglia, arranca, caracolla, abbraccia Veronica, da lei si fa cingere i fianchi, lordosi, la favola si è ribaltata, il principe si è fatto rospo, il re è diventato giullare, si cala i pantaloni, mostra le natiche come a tentare un'altra delle sue sfide al mondo. Invece è l'abbandono che provoca pietà, compassione e rabbia. Non ci sono alibi o giustificazioni. Diego ha avuto tutto e tutto ha usato. Sarebbe stato il grandioso ambasciatore del football per i bambini di ogni parte del mondo. È un uomo solo con la sua pena.
Quei fotogrammi sono la peggiore partita della sua esistenza. I suoi mille numeri da artista grandioso sono coriandoli bagnati, calpestati da un ballerino malato. Con la speranza che sia soltanto una pagina antica, come i suoi gol.
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