Sport

Dolce e forte Carolina, principessa del ghiaccio che scala montagne

Dal macigno di portabandiera a Torino 2006 a Cadutina Kostner, allo stop per doping altrui

Dolce e forte Carolina, principessa del ghiaccio che scala montagne

Milano Ultimo lungo a Milano: stasera è la notte di Carolina Kostner ai Mondiali di pattinaggio di Assago, dove è saldamente in testa con il nuovo personal best (80.27) su Alina Zagitova (79.51) che poche settimane fa, a 15 anni, si è laureata campionessa a Cinque cerchi ed ora, smaltito l'olimpico incanto, si ritrova ad inseguire. Un'altra danza per una medaglia per Kostner sarebbe la settima, da record iridato - sapendo che in fondo non è nemmeno la cosa più importante. Non lo è, se sei diventata la principessa del ghiaccio a forza di sacrifici, ostacoli e ferite. Non lo è, se hai prima battuto il tempo che ti permette, a 31 anni suonati, di gareggiare con ottime chance contro ragazzine che sono nate quando tu già vincevi.

Non lo è, se hai poi saputo aspettare che il destino chiudesse una partita giocata, senza sportività alcuna, facendo di te l'unica condannata italiana per doping (altrui). Caro che mai ha preso nemmeno un'aspirina fuori posto e fuori tempo. Il suo unico doping? Un amore sbagliato. Cieco, ingrato, ormai innominabile, come sono quelli che fanno soffrire. Caro fuori due anni per una mezza bugia che per la giurisprudenza ordinaria non sarebbe stata nemmeno messa agli atti dato il legame affettivo fra imputato e teste - , mentre per la giustizia sportiva è valsa come prova di complicità da punire quasi con lo stesso metro del reo. Eppure Caro ha atteso, resiliente, ed è tornata in gara. Dopo il bronzo olimpico del 2014, oggi conta sei medaglie mondiali (oro a Nizza 2012) e 11 medaglie europee, l'ultima pochi mesi fa. Carolina, però, aveva già vinto.

Per tutto questo e per come poi fa il suo lavoro, di salti, trottole e passi, disegnando poesia a fil di lama. Stasera il suo fauno sulle note di Debussy passerà comunque alla storia: sarà l'addio alla scena agonistica? Kostner ha fatto sapere che certe decisioni si prendono con calma. E soprattutto si comunicano con altri tempi da quelli di gara. Carolina, intanto si gode l'emozione di un abbraccio di pubblico che forse non immaginava in casa, in Italia. Nei gala di mezzo mondo, dall'oriente dove è amatissima, al Nord America alla Russia dove si è a lungo perfezionata, gli spalti spesso scandiscono il suo nome. Bella e longeva, intensa e angelica. In Italia però il pattinaggio non è il core business delle tifoserie, anche se è ormai chiaro che esiste un avanti e dopo Kostner e speriamo che la sua eredità come quella di altri big del pattinaggio made in Milan, da Marchei/Hotarek a Cappellini/Lanotte, come lei al rush finale di carriera - serva a far crescere qualche erede di talento.

Della sua storia si devono studiare gli albori, ma anche gli errori. Predestinata della patinoire, con il papà che è allenatore di hockey, Carolina preferisce la grazia al contropiede. Giovanissima lascia Ortisei e la Val Gardena, sempre nel cuore, per scavalcare le Alpi a caccia del suo sogno. Oberstdorf in Baviera sarà, e tuttora spesso è, il suo nido, con il lungo sodalizio con Michael Huth che ancora oggi si alterna nella preparazione con lo ieratico Alexei Mishin, guru che sa plasmare talenti da zar Evgeni Plushenko in giù. Per Carolina non è tutto rose e trottole. Fra 2005 e 2006 i suoi algidi 18 anni, complice il bronzo Mondiale di Mosca 2005, finiscono in pasto alla dura legge dei media e delle attese messianiche di un personaggio. Lei è giovane (troppo), bella (molto), brava (assai). Ma quella bandiera sventolata con leggerezza alla cerimonia di apertura di Torino 2006 avrà un peso di cui si accorge troppo tardi. Ai Giochi di casa chiude nona. Va peggio a Vancouver 2010. Caro cade (sette volte), chiude 16sima. Dai vertici dello sport azzurro arrivano parole poco lusinghiere, affrettate e irripetibili. Lei tira dritto. Due anni dopo si è ricostruita ed è salda sul tetto del Mondo a Nizza (sempre con Debussy). Altri due anni e si prende anche il bronzo olimpico 2014 con un Bolero di Ravel da brivido. È il lieto fine? No, esplode l'inferno del caso Schwazer. «La mia vita è come scalare una montagna», ha detto lei, «ma in cima non arrivo mai». È vero Carolina. È stata dura anche quando sembrava una fiaba? La vita insegna: è il viaggio che conta. Il destino sa farsi perdonare.

E stanotte c'è ancora un altro ballo a Milano.

Commenti