Salvatore Bagni è stato uno dei pilastri del Napoli di Maradona. Oggi a 66 anni, ha deciso di raccontare le emozioni del primo storico scudetto azzurro insieme a Bruno Giordano, uno dei compagni di quella impresa, in un libro dal titolo "Che vi siete persi".
Un guerriero dentro e fuori dal campo con il sorriso sempre stampato sul volto, quasi a esorcizzare il dolore che ha subito a causa della morte di suo figlio Raffaele, che nel 1992 aveva 3 anni."Dietro il sorriso ci sono anni di angoscia e dolore, quando perdi un figlio sei a un bivio. Ho dovuto darmi forza per sopravvivere" racconta al Corriere della Sera l'ex calciatore.
Una tragica fatalità avvenuta trent'anni fa: "Tutta la famiglia era in macchina, andavamo a 40 allora, pianissimo. L’incidente e l’airbag che si è aperto. E una vita spezzata. Solo con la forza di tutti i familiari siamo riusciti a superare questa tragedia. Mi prendo molti meriti anche io. E ovviamente anche mia moglie è stata molto forte, anche se io l’ho convinta a vivere la vita, a dare un cambio di passo. Questo dolore l’abbiamo vissuto in modi diversi. Eravamo ad un bivio e allora ti dici, cosa faccio? Siamo stati più compatti di prima, vicini ai nostri figli che sono stati seguiti da psicologici ma per fortuna non hanno risentito di niente. E poi anche l’episodio macabro: la bara del piccolo trafugata dal cimitero".
Proprio così una vicenda straziante e che assunse anche contorni macabri. Un mese dopo la morte qualcuno profanò la tomba del piccolo Raffaele, sepolto nel cimitero campagnolo di Cesenatico, portando via la bara con il corpicino e poi cominciò a tempestare di richieste di riscatto la famiglia. Qualcuno pensò a qualche setta satanica ricordando i cimiteri profanati, i riti esoterici e anche gli arresti che segnarono in quegli una certa Romagna notturna. Trecento milioni di lire fu la richiesta choc dei rapitori, che poi smisero di farsi vivi, lasciando Bagni e consorte nell'angoscia totale.
Una tragedia che sconvolse la sua vita ma che non ha impedito a Bagni di rialzarsi: "La foto della bara lasciata sul parabrezza dell’auto in un giorno di nebbia, sembrò tutto così assurdo. Un mese con i carabinieri in casa, aspettando invano una telefonata. Raffaele c’è ogni giorno, lo sentiamo accanto a noi. Il problema non è quel corpo che non è più al cimitero perché io ho fede. Ma subito ci siamo preoccupati degli altri figli. Pensiamo di aver fatto un bel lavoro con loro.
Io ho fatto finta di essere meno piegato dalla vicenda, ma ero quello più sconvolto. E ora con il sorriso positivo affronto la vita. Come dico anche alle mie nipoti: entusiasmo e passione per assaporare gli attimi e affrontare anche i grandi problemi".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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