dal nostro inviato a Rio de Janeiro
C'è poco mondiale nell'aria ed anche nel cuore dei brasiliani. Fa caldo ma non caldissimo, il cielo ogni tanto si imbroncia quasi a ricordare la rabbia della gente. Rio sforna paesaggi miserabili ed altri da cartolina. Rio ti aspetta senza coinvolgerti e coinvolgere la passione, non ricama festoni, non esalta la festa. Sembra l'Italia di Prandelli: lenta a prendere quota. Meno di una settimana per mettere a punto il motore. Tanti dubbi e poche certezze. Il ct dice che va tutto bene, anzi benissimo. Regala un'idea di Italia. «Voglio una squadra capace di osare». Ma poi dissolve l'illusione di averla trovata. «Dobbiamo ancora diventare squadra, non possiamo basarci solo sulle individualità».
Visto lo splendido resort di Mangaratiba, circa 100 km da Rio, dove gli azzurri sono arrivati scortati da almeno venti auto e uno stormo di cineprese, fa un po' di pubblicità da depliant calcistico. Racconta di aver trovato un ottimo campo di allenamento, strutture e condizioni ideali, di aver rivisto la partita di Perugia e di averne ricavato «grandissimo ottimismo». Si, d'accordo, il fuso ogni tanto fonde, ma questo ct pareva dire sul serio, davanti a una platea mondiale, giornalisti brasiliani e di più, non solo il cortiletto di casa nostra.
Prandelli scende dalla scaletta pronto a risalire lo scalone. Quanto è difficile fare il ct in Italia Manda al mondo meravigliosi messaggi di filosofia («Il Brasile è il paese del calcio, regaleremo emozioni a tutti per restituirgli allegria e felicità»), sembra un predicatore ma è solo, e soprattutto, un allenatore. Ct della nazionale azzurra che ha un rango e una tradizione da difendere: non a caso, fra una settimana, ricorreranno gli ottanta anni del primo mondiale conquistato dalla squadra di Vittorio Pozzo. Il ricordo è una miccia per scatenare il meraviglioso spirito poetico. Roba da scrittori, altro che allenatori. «Quella era gente che giocava per divertirsi e divertire, interpreti di un gioco leale e serio.
Dovremmo studiare di più la nostra storia». La storia parla di quattro titoli mondiali e qualche figuraccia. E il nostro ne mette in preventivo un'altra: «L'anno scorso giocammo contro Haiti prima della Confederation e furono critiche. Domenica, contro la Fluminense, rischiamo la replica. Lo so e non metto le mani avanti». Italia avvisata e nazionale mezza salvata. Già, perché la squadra come sta?
Ecco, il tempo stringe, ma il tecnico risponde che ci sarà un'Italia. Non quale Italia. Intanto ha fatto le coppie in camera. «Ognuno deve fare il suo per farci diventare squadra vera. Balotelli ha avuto una attenzione particolare: se tutti saranno così, potremo essere più forti». Ripartire da Balotelli e con Balotelli. Mezza bocciatura per Cassano: «Con lui in campo ci siamo sbilanciati. Dobbiamo rimediare». Un mix di giovani e anziani. «I giovani sono garanzia di entusiasmo ed esuberanza. Sono anche incoscienti. La vera sorpresa è stata Darmian e sono felice di queste scelte». Un altro nome per dire che l'Italia cresce. Senza mettere limite al cuore nazionale.
Prandelli usa parole, orgoglio e lotta come fossero olio e sale. Nonostante l'ottimismo, cerca un doping psicologico. C'è meno entusiasmo per l'azzurro: le partite non aiutano. Ed allora lancia l'amo. «Dobbiamo far sentire orgogliosi i tifosi, lottare e andare oltre le difficoltà. Dimostrare che gli italiani sanno far squadra, che possono essere più bravi degli altri». Avrà poche partite per dimostrarlo, poco tempo per costruire una squadra, il castello, il sogno.
Mourinho gli ha mandato il suo non ti scordar di me: «L'Italia è da finale». Il ct ha deglutito prima di ribattere «Lunga vita a Mourinho, ma qui dobbiamo pensare a passare il turno». E tra pensare e penare la differenza è minima.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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