Nell'ultima intervista-fiume rilasciata al direttore del Corriere dello Sport, Roberto Fabbricini, commissario della federcalcio non ha avuto dubbi nell'indicare la priorità delle riforme da affrontare. Ha detto testualmente: «Serve quella della giustizia sportiva». Non ha citato nomi e cognomi ma il riferimento, taciuto per carità di patria, era sicuramente destinato al capo della procura federale Giuseppe Pecoraro, classe 1950, già prefetto, protagonista di un'estate bollente segnata da una striscia inquietante di flop e gaffe procedurali. Il debutto, sfortunato, è avvenuto con l'illecito amministrativo del Foggia (serie B), accusato in una conversazione privata da un suo collaboratore addirittura di «infiltrazione mafiosa» e per il quale aveva chiesto la retrocessione in serie C non prevista dal codice calcistico e dalla giurisprudenza consolidata. Dinanzi alla sentenza del tribunale federale che ha quasi dimezzato la penalizzazione del club pugliese, Pecoraro ha addirittura firmato un acido commento che ha scandalizzato la federazione e indispettito i giudici. La procura federale può discutere le sentenze proponendo appello non criticandole pubblicamente.
Poi ha fatto cilecca con l'inchiesta per un sms di Calaiò del Parma, quindi al primo tentativo di mandare sotto processo il Chievo per le plusvalenze fasulle, si è semplicemente dimenticato di interrogare il presidente Campedelli, atto indispensabile per dare inizio al dibattimento. A causa dell'errore procedurale, il Chievo è tornato soltanto ieri dinanzi ai giudici che avevano stabilito in precedenza l'improcedibilità. Ieri come allora, la procura ha chiesto 15 punti di penalizzazione e 36 mesi di squalifica per il presidente Campedelli: almeno in questo è stato coerente.
Nelle pieghe del dibattimento però si è scoperto che i deferimenti erano stati firmati dai sostituti di Pecoraro poiché il capo dell'ufficio «era in ferie, al mare» la dichiarazione testuale dell'avvocato De Luca, difensore del Chievo, che ha invocato la consegna di un tapiro di Striscia la notizia. La conclusione è una sola: tre indizi, i più recenti tra l'altro, spesso formulano una prova. E cioè che il dottor Pecoraro ha pochissima voglia di dirigere con rigore ed efficienza il suo ufficio.
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