Riccardo Marchizza è il primo calciatore nella storia di Europei e Mondiali a venire espulso per due volte nelle tre partite del girone: prima il cartellino rosso con la Repubblica Ceca, poi quello da subentrato con la Slovenia (sceso in campo al 54', ha rimediato il primo giallo un minuto dopo e il secondo a distanza di neanche mezz'ora). Ma in generale è tutta l'Under 21 di Nicolato a sembrare un po' indisciplinata, tanto che in tre incontri ha collezionato ben cinque espulsioni: due contro i Cechi (Tonali e Marchizza), due contro gli Spagnoli (Scamacca e Rovella), una contro gli Sloveni (di nuovo Marchizza).
Il ct spagnolo De La Fuente ha addirittura accusato gli Italiani di «antisportività», con il mister Nicolato che da una parte si è appellato ad arbitraggi troppo rigidi, dall'altra ha ammesso alcune espulsioni «non giustificabili».
Sì perché è un attimo che l'esuberanza giovanile si trasformi in tracotanza, in mancato rispetto di regole (e gerarchie) che hanno sempre segnato il mondo dello sport. Quest'ultimo è infatti un formidabile specchio della società: una volta, quando ancora la ribellione si caricava di significati simbolici, dalla musica al cinema passando per le varie discipline sportive, avevamo i John McEnroe e gli Eric Cantona, affascinanti e magnetici, scandalo per i benpensanti ma estremamente umani; oggi invece ci ritroviamo con i Nick Kyrgios e i Mario Balotelli, figli e simboli non tanto della ribellione ma della mancanza di limiti, in una provocazione continua che porta solo forma e non più sostanza.
A proposito di (ex) Under 21 pensiamo anche agli amici Kean e Zaniolo, rimproverati e puniti dall'allora commissario tecnico Di Biagio per una serie di ritardi e comportamenti non professionali: ciò che traspariva dalle parole del ct era non tanto la malafede dei due, bensì la leggerezza della loro indisciplina. È qui che torniamo allo sport come cartina di tornasole della società, e non facciamo fatica a trovare nella Generazione Z calcistica un segno dei tempi.
In fondo come pensate che possa sentirsi un ragazzo di vent'anni passato dal nulla al successo, con contratti milionari e con milioni (anche) di follower che lo seguono; il tutto in una narrazione amplificata tanto crudele quanto usa e getta che abusa di titoloni e paragoni forzati. Per questo serve qualcuno che faccia capire all'esordiente come un cartellino rosso non condizioni solo la sua partita, ma soprattutto quella della squadra; qualcuno che trasmetta valori umani e collettivi.
È l'importanza dei maestri, come ad esempio l'allenatore dell'Uruguay Tabarez: «Il successo non è fatto solo dai risultati, ma anche dalle difficoltà che si superano per ottenerli, dalla lotta permanente e dallo spirito con cui si affrontano le sfide. Il cammino è la ricompensa». Una lezione di vita prima che di sport, da incidere in ogni spogliatoio del mondo.
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