Marco Lombardo
nostro inviato a Wimbledon
Un vincitore è semplicemente un sognatore che non ha mai mollato. Nelson Mandela definiva così il momento sublime in cui il mondo ti sorride e Serena Williams sa che per i sogni vale sempre lottare. Non sarebbe stata lì, sul campo centrale, con in mano il settimo piatto d'argento di Wimbledon che diventa il più d'oro di sempre. Perché la maledizione del ventiduesimo Slam, quello che le mancava per raggiungere il mito di Steffi Graf, è finalmente sfatata: dimenticata la semifinale horror contro la Vinci agli Us Open, dimenticate le sconfitte in finale a Melbourne e Parigi, da ieri Serena non è più un mito. È leggenda.
Insomma, finalmente: la tennista più dominante si prende quello che merita, dopo una finale contro Angelique Kerber la stessa che l'aveva fatta soffrire in Australia terminata in due set (7-5, 6-3) ma combattuta ad ogni colpo. E finita sdraiata sull'erba dopo una volée di rabbia, sfinita, in estasi. «Il suo segreto racconta Patrick Mouratoglou, il coach più che amico, nelle braccia del quale alla fine si scioglie la regina del tennis è che ogni vittoria le basta per 5 minuti. Dopodiché di solito mi guarda e dice: Qual è la prossima?». Forse non questa volta però, perché il doppio 2 disegnato con le mani per festeggiare, significa che ci vorrà un po' perché dimentichi la realtà.
Serena contro Graf dunque, due campionesse uguali nella fame di vittorie ma tanto diverse nella vita. Steffi quasi scomparsa dai radar del tennis per vivere a Las Vegas con André Agassi e dedicarsi a una fondazione che aiuta i ragazzi a studiare, Serena a 34 anni con i piedi ben dentro al campo e a suo agio in ogni particolare. Steffi, anzi adesso solo Stefanie, che in una rara intervista si è detta sollevata che qualcuno fosse in grado di eguagliare le sue imprese, per dissolversi nel tempo e nella storia. Serena che non ha finito qui, perché ci sarebbe ora l'ultimo gradino sulla scala dell'immensità sportiva: i 24 titoli di Margareth Court Smith. Quelli di un'era in cui il tennis era una fotografia sbiadita: «Ma francamente non ci penso, ho imparato molto dal numero 22...».
Serena è questa: ironica, affascinante, mai banale, sempre dentro le righe della vita. «In effetti ho passato qualche notte insonne dopo le ultime sconfitte. Ma quando si perde si impara sempre qualcosa: io ho capito che bisogna gioire di ogni momento, che bisogna sempre lavorare duro e pensare comunque positivo. E io ho pensato: ehi, in fondo non sono così male. Infatti eccomi qui». Con la dignità nella vittoria così come nella sconfitta, «perché perdere una partita di tennis vuol dire assistere al successo di un'altra donna e diventa fonte di ispirazione. E per questo voglio essere ispirazione non solo come atleta, per dire alle donne che i sogni vanno inseguiti. Sempre». Questa allora è Serena 22 «e francamente degli altri titoli ho dei ricordi forse di tre o quattro».
Questa la Williams che si definisce «una buona amica, una persona generosa», che ha girato un documentario (Serena of course) «per raccontare il mio viaggio», che ha salutato così il campo centrale di Wimbledon: «Qui mi sento a casa, tanto che tornerò tra un po' a giocare la finale del doppio con mia sorella Venus». Erano infatti già passati più di 5 minuti. E i sognatori non mollano mai.Finale maschile. Oggi Andy Murray insegue il suo secondo titolo a Wimbledon contro Milos Raonic. Diretta h 15 su SkySport.
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