Trecentodiciassette giorni dopo. Lo stesso stadio, il suo. Ma non la Juventus e nemmeno Claudio Marchisio che con un gol al Cagliari concluse la partita, l'ultima del campionato dei record, l'ultima della storia bianconera in panchina di Antonio Conte. Stavolta c'era l'azzurro "tenebra" (Giovanni Arpino) della nazionale, c'era un'altra squadra, un'altra sfida, amichevole d'accordo, ma di quelle profumate di storia, contro l'Inghilterra. Conte ha occupato il campo, le tribune che, per la prima volta da sempre, erano semivuote: il batterio del caso Marchisio ha avvelenato la gente di Torino, poi la federcalcio ha aggiunto il suo cianuro oscurando il pannello con i trentadue scudetti della Juventus.
Teso, asciutto, pallido, come una mummia del nuovo museo egizio (ogni riferimento ai condomini della tribuna d'onore è casuale) il faraone Conte non aveva espressione e smorfie quando è incominciata la partita, tra applausi della claque e dei bambini ovunque a riempire i troppi posti liberi. Osservano l'evento anche i due proprietari dello stadio ed ex datori di lavoro del cittì: Elkann&Agnelli. Mentre il presidente, Andrea, ha fatto visita e saluto, insieme con Marotta, nello spogliatoio, suo cugino, l'ingegnere Jacob, si è tenuto a distanza, ribadendo che il football non è uno sport che lo ecciti come invece accadeva per suo nonno e parenti vari, a differenza delle appassionanti e coinvolgenti regate in barca a vela.
Una giocata di Chiellini, una di Eder, un'altra di Darmian e Conte ha ritrovato l'abito di Antonio, sbracciandosi a bordo campo, mimando i gesti dei suoi, suggerendo posizioni, schemi.
Nella cronaca c'è sempre un po' di favola e dunque un altro salentino, Pellè, ha regalato il primo gol, il primo sorriso e il primo pugno al cielo, all'allenatore leccese. Il pareggio inglese ha riportato il faraone nel sarcofago.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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