RIO DE JANEIRO - Akani Simbine non riesce a stare fermo, saltella, agita le mani, le strofina sull'avambraccio, scende e sale con la zip del giacchetto della tuta e risponde con lunghe pause alle domande dei cronisti sudafricani. È una giornata grigia al villaggio olimpico e a Rio per lunghi tratti cade una pioggerellina fitta da autunno londinese. Adesso ha smesso. Simbine il 18 luglio ha ritoccato il suo personale sui 100 metri: 9,89. Sa che non gli basterà per vincere. Sorride e dice che prima di arrivare qui si è allenato a Gemona, in Friuli. Sulla spalla e poi giù lungo il braccio sinistro ha una striscia di tatuaggi: angeli, rose, mani in preghiera, due colombe che si incrociano in cielo. "Questo è il primo" e indica una frase stampata sulla parte interna: La speranza e la fede. Akani è uno degli umani che oggi, nelle prime batterie, guarderà lui partire. Ci sarà qualcuno in grado di battere Usain Bolt, il sovrumano? È una domanda che per molti ha una risposta scontata. No, non si batte. Non c'è nemesi. Non c'è perché dopo Phelps, il dio dell'acqua, questi giochi aspettano la terza tripletta del dio del tuono, o meglio del fulmine, e per limiti universali, secondo la legge di Einstein, non si può correre più veloci della luce. C'è solo un'incognita. La luce invecchia? I suoi avversari scommettono su questo. Akani si fa serio. "È Superman? Bene, ma anche io sono Superman".
Bolt è al villaggio, ma si nasconde. Ostenta come forma di pressione psicologica la tattica dell'ozio. Si diverte con questa storia dell'indolenza. Voi siete tesi, io mi annoio. Quelle volte che appare ciondola con le cuffie colorate alle orecchie o sta al telefono per lunghe chiacchierate con Neymar, ripetendo con una faccia da schiaffi che il suo futuro è in una squadra di calcio, magari proprio il Barcellona. Non dice che si è fatto comprare una mega tv a schermo piatto da piazzare in camera per giocare a Fifa 16. Che fai a Rio se non puoi andare al mare? Tutto questo naturalmente fa parte della sceneggiata. Usain si sta allenando come non mai, perché molto presto compirà trent'anni e non può lasciare nulla al caso. Cerca di tenere a bada i maledetti dolori alla schiena, quelli che hanno segnato ogni passo della sua leggenda e combatte contro se stesso, la paura della partenza imperfetta, l'angoscia che si nasconde sotto la ribalda allegria, la sfida quasi impossibile a tutti i Bolt che è stato, il tempo che puoi solo rincorrere.
Non ha paura dei 200, non teme l'impresa di LaShaw Merrit, che sogna l'accoppiata con i 400 come solo Michael Johnson ha saputo fare. Ma i 100 in realtà lo preoccupano. La compagnia di giro è sempre la stessa, con gli insofferenti principi giamaicani Asafa Powell e Yohan Blake; l'ultima speranza europea Jimmy Vicaut, che viene dall'Ile-de-France. Justin Gatlin è un discorso a parte. È tutto ciò che Bolt non sopporta. È l'oro prima del suo avvento, quello di Atene 2004. È due squalifiche per doping, sei anni fermo. È il vecchietto bastardo che non si è mai rassegnato alla perdita del regno. Ma è anche quello che quest'anno ha corso più veloce: 9,80 ai Trials. Usain non lo sopporta da quando prima di Londra 2012 in un meeting, prima del via, ha sputato sulla sua corsia. "La saliva gli usciva di bocca quasi al rallentatore, atterrando sulla pista davanti a me. Non riuscivo a crederci: ero scoppiato a ridere. Troppo buffo. Uno come Gatlin non riesce a farmi perdere la pazienza. Non lo vedo come una minaccia, al massimo come un fastidio".
Trayvon Bromell ha 21 anni ed è un piccoletto. Il 3 luglio ha corso in 9,84. Questa cosa dell'altezza inquieta Usain. Gli ricorda Ricardo Geddes. Ricardo era il suo compagno di banco alle elementari di Sherwood Content. Si sfidavano praticamente ogni giorno e Bolt era più veloce sull'allungo, ma sui maledetti 100 continuava a perdere. Usain che già a otto anni era parecchio tignoso e competitivo cercava di mostrarsi indifferente, ma dentro rodeva. Non sapeva ancora di non essere del tutto umano. E comunque aveva bisogno di una posta in palio, una sorta di medaglia, per rivelarsi a se stesso. E' quello che intuisce il suo professore Mr. Nugent, un prete che amava l'atletica. "Senti Usain, se riesci a battere Ricardo nel campionato scolastico ti regalo un pranzo in scatola". Per Bolt ancora adesso il pranzo in scatola è una cosa seria, è la sua madeline: pollo in salsa jark giamaicana, yam arrosto, riso e piselli. Ha lo stesso gusto di nove medaglie d'oro.
E le tre che mancano vuole prendersele a Rio.Il record senza fine di Bolt è 9'58. A giugno ha corso in 9'88 e nel 2016 non è riuscito a fare di meglio. Ma sfiderà un solo avversario: se stesso. "A Rio correrò i cento in 9'60". Due centesimi più lento della luce.
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