Nostro inviato a Barcellona
Giusto gioire perché la Ferrari ha vinto e il grande spagnolo ha dimezzato il distacco da Vettel. Ma sarebbe ingiusto scorticarsi l'ugola in lodi eccessive rivolte ad Alonso. Vero. Fernando ha fatto gara perfetta e in più nobilitata da quel doppio sorpasso al via su Hamilton e Raikkonen che lui giura e confida e sussurra aver studiato durante la driver parade dopo averlo visto in Gp2. Per cui mica male i ragazzini che arriveranno un giorno in F1... E giusto gioire anche per aver visto di nuovo le Mercedes über alles svanire dopo pochi giri con Rosberg alla fine sesto ed Hamilton desaparecido. Però stavolta abbiamo soprattutto visto una grande Ferrari nel senso di squadra. Perché in questo week end catalano in cui la mission possibile era e doveva essere levarsi di dosso la patina di iella che aveva finora, Cina esclusa, accompagnato le imprese della F138, qui tutto pareva rivoltarsi contro. Come se la dea bendata si fosse incaponita a dimostrare che invece ci vedeva benissimo e soprattutto vedeva solo rosso.
Pensateci, pensiamoci. Adesso siamo qui a far festa per lo spagnolo che dominando la corsa nonostante i cambi in vetta dettati dalla lotteria pit e dalle strategie gomme (ancora sotto accusa, delaminazione per Vergne) ha messo dietro un meraviglioso Raikkonen (su 3 soste, anziché 4 come gli altri) e per di più trovato sul podio accanto a sé compagno Massa e sfatato il tabù catalano visto che qui nessuno aveva mai vinto scattando oltre la terza piazza. Non solo. Adesso contiamo persino i secondi di distacco rifilati a Vettel quarto. Che sono parecchi. Non accadeva dal 2010. Sono 38 e rotti, segno che in gara la F138 è un missile che culla le gomme.
Però, pensateci, pensiamoci. L'altro ieri, sabato, che cosa stava accadendo in casa Ferrari? L'esatto contrario di tutto ciò che poi è stato. Per cui musi lunghi al posto di sorrisi. Per cui frasi tese al posto di urla di gioia. Perché nel Gran premio clou dell'anno per tecnica ed aerodinamica, sulla pista dei test invernali, sul tracciato che di solito rivela se la macchina è davvero buona, le truppe di rosso vestite ci sono arrivate con un Alonso che più nervoso di così non si poteva. E con il loro gran capo tecnico e stratega del muretto, Pat Fry, finito dopo poche ore in ospedale, operato d'urgenza di appendicite. Aggiungiamo a questo casino, lo stato emotivo causato dal nervosismo di Fernando che a metà settimana aveva strattonato un paparazzo beccandosi una denuncia e che sabato, dopo la qualifica, aveva più o meno detto «qui si parla troppo e gli altri portano novità che funzionano mentre le nostre
». Frasi, queste, che non avevano fatto piacere al team, ai meccanici, ingegneri, manager, a tutti insomma. E tantomeno al presidente Montezemolo. Tra l'altro appena passato in visita papale qui a Montmelò proprio per motivare i suoi. Quanto all'assenza di Fry ha seguito la corsa dall'ospedale, grazie al pc portatile collegato col box -, ha costretto il team principal Domenicali a caricare l'onere delle strategie ancor più sugli ingegneri di macchina di Fernando (Andrea Stella) e Felipe (Rob Smedley) e su quelli del garage virtuale che elaborano i dati in tempo reale da Maranello.
Per tutto questo sarebbe sbagliato, oltre che ingiusto, sperticarsi solo per il campione spagnolo. Anche perché il campione spagnolo non sapeva della gomma che si stava bucando o delaminando quando il muretto e il suo ingegnere e il garage virtuale di Maranello gli hanno ordinato di rientrare due giri prima per l'ultimo pit stop. Stavolta se ne è ben guardato dal proseguire e fare di testa sua. Cambio al volo e dea bendata finalmente pirlata. Dea che ha provato a rispondere dopo il traguardo.
POLEmicamente
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