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Finalmente ecco la vera Ferrari. Leclerc in pole, l'incubo di Seb

Rosse in prima fila, ma Mercedes vicine. Il baby con le spalle larghe mette in ombra Vettel: «Dedicato a papà e a Jules...»

Finalmente ecco la vera Ferrari. Leclerc in pole, l'incubo di Seb

Quando John Elkann e Louis Camilleri, rispettivamente presidente e amministratore delegato della Ferrari, hanno compreso che solo dei pazzi non avrebbero seguito il testamento sportivo lasciato da Sergio Marchionne, quel giorno, Sebastian Vettel ha capito prima di tutti che il 2019 sarebbe stato un inferno. Tra le volontà del manager italo-canadese scomparso la scorsa estate c'era infatti di vedere al più presto in gara al volante della Rossa quel puledro di anni venti chiamato Charles Leclerc.

L'inferno per Vettel è iniziato puntualmente ieri quando, in Bahrein, il monegasco ora 21enne ha centrato la pole, il più giovane ferrarista a riuscirci, e relegato il compagno quadricampione del mondo a tre decimi e sull'orlo di un precipizio dantesco. Sebastian è infatti reduce da un 2018 devastante per errori e delusioni, e la prima fila che oggi fa sognare il popolo ferrarista rischia di sprofondarlo in un incubo. Perché il ragazzino è davanti e lui dietro e perché l'ultima volta con le Rossa a guidare il gruppone al via finì male. Dietro c'era sempre lui. Successe a Monza, pochi mesi fa, partenza pazza a inseguire Raikkonen, patatrack ed Hamilton felice.

E l'inferno, per Vettel, potrebbe proseguire in gara. Troppo freddo il diavoletto del Principato e troppo caldo lui. Soprattutto, troppo vicine le due Mercedes con Hamilton a 30 millesimi e Bottas a un decimo. Vettel sa benissimo che se al via o in gara non dovesse riuscire a ristabilire le gerarchie, la Ferrari, come una bilancia, si sposterà là dove c'è più peso e futuro: Charles. Il movimento, oplà, sarà naturale. Perché dal 2016, stagione in cui lo prese con sé alla Driver Academy, di cui è il primo pilota a issarsi in pole, Maranello ne ha seguito l'intera carriera: lo stesso anno, svezzandolo nelle libere del venerdì parcheggiandolo alla Haas; nel 2017, facendolo debuttare nei test con la Rossa ufficiale (segnò il miglior tempo di giornata); e infine, nel 2018, portandolo in Alfa Sauber a farsi le ossa. Non solo. La bilancia, se Vettel non dovesse riuscire a riequilibrala subito, è destinata a pendere sempre di più dalla parte del monegasco anche perché il suo mentore e manager, «molto più di tutto questo, è uno di famiglia...» ripete Leclerc, è Nicolas Todt. Il potente figlio del capo della Fia che fra i suoi pupilli, da pochi mesi, annovera un tale di nome Mick Schumacher. Per cui, a ben vedere, il povero Vettel non dovrà solo guardarsi di lato, ma anche alle spalle.

Se la presenza del monegasco rischia di rivelarsi un inferno per il tedesco, di certo Charles è un diavolo estremamente affascinante. Sportivamente bipolare. Amabile, gentile, educato, persino dolce fuori pista; e squalo in gara. Appunto, un diavolo della guida che all'enorme talento regalato da madre natura accompagna un'immensa forza mentale allenata da tutto ciò che il destino gli ha tolto. A cominciare dall'amico del cuore e fratello maggiore acquisito: Jules Bianchi. Il talento francese, anche lui della Ferrari Driver Academy, scomparso nell'estate del 2015 per i devastanti danni cerebrali riportati nel terribile incidente di Suzuka 2014 al volante della Marussia. «Grazie Jules per tutto ciò che mi hai insegnato, non ti dimenticherò mai», fu il ricordo di Charles rivolto all'amico nel giorno dell'annuncio della promozione in Ferrari. Bianchi, più grande di otto anni, l'aveva preso per mano ancora bambino sulle piste di kart aiutandolo ad allenarsi sul circuito di famiglia. Leclerc ha però dovuto affrontare un altro dramma personale: l'improvvisa morte del padre Hervé, ex pilota nelle serie minori e sempre presente nella sua carriera. Un male fulminante lo portò via nel 2017, pochi giorni prima del Gp dell'Azerbaigian di formula 2. Charles fece la pole e vinse. «Ho corso per lui» disse, «volevo renderlo orgoglioso...». E, all'epoca, era appena sbarcato nella classe d'accesso al Circus dopo aver dominato la formula 3. Da lì a poco avrebbe ipotecato anche quella categoria: sei pole di fila e sette vittorie il conto finale. E sarebbero state otto se non avesse subito una squalifica per irregolarità tecnica sulla sua Prema. La stessa monoposto su cui ieri ha debuttato in F2 l'altro predestinato: Mick Schumacher, ottavo.

Se, dunque, da una parte Sebastian Vettel (che ieri per un eccessivo rallentamento in Q1 ha rischiato la retrocessione in griglia) ammette elegantemente «difficile batterlo anche fossi stato in giornata», dall'altra sa bene di trovarsi alle porte dell'inferno. A meno che fin da oggi non scodelli il colpo di reni del campione, la strada rischia di essere segnata. Perché Seb non ha accanto un giovane di talento alla prima grande occasione, bensì un ragazzo con le spalle larghe allenate dai dolori e le cose importanti della vita. Un ragazzo che ha imparato, affrontando paure e sofferenze vere («questa pole è per mio padre e Jules» twitterà a tarda sera), a dare il giusto peso a gioie e tensioni sportive. Un ragazzo che non si scompone e dice «avrei potuto far meglio, la qualifica non dà punti e mi concentro sulla gara». Un ragazzo che per di più è a conoscenza di quanto dichiarato l'altra sera dal team principal Binotto: «Lavoriamo perché Vettel senta fiducia, ma Charles è libero, e se sarà davanti nessuno lo fermerà».

Un inferno per Seb.

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