L'eroe per caso si chiama Luca Tesconi. Non doveva essere a Londra, ha acchiappato per ultimo il pass olimpico e per primo una medaglia per gli azzurri. In una fotografia si potrebbe immortalare il momento: un uomo felice.
Già, la fotografia. «Amo sparare e amo fotografare» e ama le cose belle, «sono diplomato all'artistico e appena posso mi ritiro in solitudine perché mi piace andare a caccia di belle immagini» dice questo pistolero caramba che ha pirlato tutti quanti gli avversari, tranne quel Billy the kid di un sud coreano, Jin Jongoh si chiama. Ci ha presi in giro tutti il caramba di Pietrasanta con la passione per Botero, e per la verità ha preso in giro anche se stesso: perché in pochi, a cominciare da lui, credevano che avrebbe acchiappato il podio. Tanto meno l'argento. E forse l'oro non è arrivato per questo, sarebbe stato troppo, come ce lo saremmo mai spiegati...
«Io sono così» racconta il fotografo, artista e pistolero, «ho pure studiato immagine» sottolinea per essere creduto. «Sono uno che ha tanti alti e bassi, che non ha mai vie di mezzo, che o va molto male e sbaglia tanto o va molto bene e
». Regala sorprese. Qui a Londra è stato l'ultimo azzurro ad acchiappare il pass e il primo a regalarci medaglie, pistola ad aria compressa, tiro dai 10 metri, la sua disciplina. L'ultimo fu Di Donna, Atlanta '96, ma fu oro. Fatto sta, ottava medaglia del tiro azzurro e felicità grande per il suo ct, che poi è una sua ct, Valentina Turisini, ancora donne nell'armata azzurra, Valentina fu l'ultima azzurra del tiro a segno a salire sul podio. Era Atene 2004, altra epoca, altra Grecia, altri spread.
Un argento magico per cominciare questa favola olimpica e anestetizzante, arrivato al momento giusto per calmare i malumori figli della crisi che ci fa pensare ad altro. E in fondo è bello che a iniziare a raccontarla non siano i big degli sport più celebrati, ma gli invisibili decoubertiani che poi dimentichiamo per quattro anni. Gente e atleti della porta accanto in cui è molto più facile riconoscersi perché l'invisibilità accomuna. Gente come Luca, appunto, «che papà mi ha preso e portato a sparare quando ero ormai ragazzo, era il 2000, e mi stavo allontanando dal tennis, praticato dieci anni a livello agonistico» ricorda. Gente che a 30 anni di ribalte aveva visto solo e soprattutto quelle degli altri in tv, gente che poi, magicamente, diventa eroe per caso. «Cosa ho fatto per vincere? Le solite cose. Mi sono sentito bene in gara, ma di quel bene che si prova solo a volte, e
mi sono poi ritrovato in finale e solo alla fine ho alzato lo sguardo per vedere il tabellone».
Sì, perché la ricetta della felicità sportiva è necessariamente semplice, perché ce la complicano i big dello sport anche per colpa nostra, a furia di ricevere le stesse domande. Ma Luca di domande, fin qui, ne ha ricevute pochine. Per questo racconta. E sono altre cose belle: «Il momento magico è arrivato quando ho sentito le stesse sensazioni dell'allenamento, di quando tiro come voglio. Allora mi sono chiuso nella mia bolla e ho assecondato tutto. Quando mi succede così, quando mi accorgo di avere questo ritmo, allora mi sento di osare, di prendere rischi...» sorride. «E però a volte finisco sulle montagne russe, alti e bassi, alti e bassi, una costante» ripete ricordando, forse alludendo fieramente al recupero, dal quinto al secondo, roba da pelo sullo stomaco.
Stavolta nessun giro della morte, stavolta una finale dove è venuta fuori tutta la forza nascosta negli eroi per caso di questa disciplina.
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