Due perfetti conosciuti. Uno (Adriano Galliani) sa tutto dell'altro. E l'altro (Max Allegri) ha un'ammirazione infinita per l'uno. Insieme hanno vissuto more uxorio ai tempi del Milan senza più perdersi di vista dopo, a dispetto di esonero e di strade diverse battute. Inutile perdersi in chiacchiere descrittive: sono Adriano Galliani e Max Allegri, i due destinati a ritrovarsi, uno contro l'altro armato, domani pomeriggio a Monza perché così comanda il calendario. Uno fa il dirigente da una vita dopo aver collezionato ogni successo da imprenditore prima e ad del Milan poi, occupandosi ora del Monza che sta attraversando la prima bufera tecnica dopo la storica promozione in serie A, l'altro fa l'allenatore da un bel numero di anni con un curriculum da far invidia ed è tornato alla Juve sicuro di riprendere la via maestra del successo ma restando impigliato in un tunnel buio di risultati deludenti. Come si capisce al volo anche in questi giorni, pieni di ansie e tensioni per entrambi, i due vivono paradossalmente la stessa condizione.
Eppure da perfetti conosciuti si affrontano e si misurano sapendo l'uno che il confronto appare impari sulla carta per il Monza che ha cambiato anche guida tecnica (da Stroppa a Palladino) e l'altro temendo qualche nuovo sgambetto per questa Juve piena di acciacchi e di insicurezze, proprio malandata. Uno chiama Allegri Max dandogli del tu da sempre, considerandolo una sorta di figliol prodigo calcistico, anzi ricorrendo qualche volta alla sua sapienza per conoscere in anticipo il dossier di un calciatore, l'altro conserva la distanza che è riconoscimento di autorevolezza e affetto chiamandolo «dottor Galliani» e considerandolo, in privato oltre che in pubblico, il migliore dei dirigenti in circolazione.
Galliani lo portò al Milan avendogli riconosciuto «il fisico del ruolo» come ebbe a ripetere più volte e provò a difenderlo, conoscendo la sua vocazione aziendalista, anche nei giorni in cui la famiglia Berlusconi, Silvio e Barbara, la figlia, decise di chiudere quell'esperienza poche ore dopo i 4 gol sulla schiena rifilati da Berardi, gennaio 2014.
Lasciò un bilancio tutt'altro che fallimentare in quei tre anni e mezzo di panchina: scudetto subito, secondo posto nella stagione successiva (pagati a caro prezzo il ko di Thiago Silva e il mancato scambio Tevez-Pato) e terzo posto miracoloso dopo la cessione di Ibra e Thiago. Domani non riusciranno a guardarsi in cagnesco né prima e neanche dopo perché alla fine Monza-Juve passa e resta l'intesa da perfetti conosciuti.
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