Milano Il Milan è finito tra due fuochi. Da una parte la sconfitta del derby che ha lacerato rapporti interni e scavato angoscia nell'animo di Gattuso, dall'altra la deriva ideologica che sta dividendo tifosi e politica sul futuro di San Siro. Uscirne vivi senza nemmeno una scottatura non sarà facile. Anche perché dietro le pieghe della sosta per nazionali, c'è la trappola Samp e c'è soprattutto da metabolizzare il derby con il lascito del litigio pubblico tra Kessiè e Biglia. Gattuso sull'ultimo punto è didascalico: «Non siamo al grande fratello, c'è lo spogliatoio per risolvere ogni questione, non permetto a nessuno di rovinare il clima costruito», fa sapere dopo aver avuto il confronto con Kessiè e messo in riga Biglia.
Non ne ha fatto una tragedia, com'è giusto che sia. Mentre brucia ancora il derby, questo sì, inevitabile se si pensa al temperamento di Rino. «Ho sbagliato io, ho chiesto io alla squadra di giocare più alta, è stata una mazzata come con l'Arsenal ma andremo avanti», ha raccontato per fare sintesi dei dati tecnici emersi dalla sfida con Spalletti. Invece di giocare sui 25 metri, corta e solidale, contro l'Inter la squadra si è sgranata fino a raggiungere i 48 metri: ecco dove Vecino s'è infilato per fare danni. «Ho ascoltato tante chiacchiere e me le faccio scivolare addosso, a fine campionato vi dirò cosa penso»: qui il ragionamento di Gattuso è diventato meno tecnico e più di scenario futuro. Reso più fosco dalla risposta successiva.
«Il mio futuro non è la priorità, la priorità è il posto in Champions. Il mio futuro lo saprete tra due mesi», la frase che ha seminato il panico tra i cronisti e autorizzato le interpretazioni più disparate. Gattuso non ha dormito dopo il derby perso, anche nel viaggio a Liverpool è apparso malmostoso. A ferirlo, oltre alla sceneggiata dei due, devono aver contribuito le analisi della società. La sintonia calcistica e umana con Leonardo è sempre stata in discussione e persino i progetti di mercato futuro centrato tutto su giovani leve possono aver contribuito al distacco tra area tecnica e allenatore che nell'estate scorsa, tra l'altro, rifiutò una golosa offerta dalla Cina. Considerato il cordone ombelicale tra Gattuso e il gruppo, può darsi che l'espressione di Rino sia la benzina per dare sprint a una settimana decisiva con tre appuntamenti uno dietro l'altro (Samp, martedì l'Udinese in casa e sabato la Juve a Torino). Di suo il tecnico calabrese ha pensato di mettere a riposo chi è arrivato stremato dalle nazionali (Kessiè e Paquetà): è la conferma che si è pentito d'aver schierato Paquetà nel derby.
L'altro fronte aperto è quello dello stadio. Di ieri un'altra puntata arroventata. Salvini s'è mostrato favorevole alla nuova costruzione («San Siro nel cuore ma aspetto nuovo stadio») al pari di Galliani («la ragione deve prevalere sui sentimenti») dando così lo spunto al presidente Scaroni di respingere «la disputa ideologica» per segnalare che «non possiamo rimanere 10 anni in questo stadio».
Perciò la posizione del Milan di Elliott è
precisa: «Se non possiamo toccare niente, ce ne possiamo anche andare, non è nostro lo stadio. E restare con lavori di ristrutturazione che ci costringerebbero a giocare 2-3 anni fuori Milano non è assolutamente pensabile».
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