Napoli, stasera, è un punto di partenza. O di arrivo. Delle due luna: il Napoli non può permettersi di perdere la quarta partita di questo campionato. La Juventus non può fermarsi dopo aver battuto le due milanesi, dopo le promesse e le premesse sarebbe una specie di tradimento.
Detto, anzi scritto così, si potrebbe anche pensare al pareggiotto che nulla cambierebbe se non le chiacchiere nostrane. Napoli, stasera, è anche un modo di intendere il football, quellora e mezza di gioco, di Walter e Antonio, che sarebbero ovviamente Mazzarri e Conte. In fondo i due si assomigliano soltanto per il carattere sulfureo che li accomuna quando seguono le azioni, i gol sbagliati, quelli realizzati, le decisioni dellarbitro. Prima e dopo sono sussurri, rantolano, bisbigliano, quasi parlano di sghembo.
In verità i due, per qualcuno «figli» calcistici di Lippi, sono distantissimi, per estrazione, non un toscano ma un livornese di San Vincenzo, Mazzarri, non un pugliese ma un salentino di Lecce, Conte, e per carriera calcistica, un tot di scudetti e di coppe e di nazionale per lo juventino, soltanto gavetta e pane duro per il napoletano. Da allenatori, hanno ripreso per i capelli situazioni disastrose, resta storica la salvezza della Reggina superpenalizzata e supergalvanizzata da Mazzarri. Resta magica la stagione e il football offerto dal Bari di Conte, un oltraggio ai leccesi che ancora non lhanno perdonato, comprese percosse e minacce.
Cè poi una strana coincidenza che li ha visti di fronte uno allaltro, accadde un anno fa, era il gennaio del duemila e dieci quando Conte, travolto con la sua Atalanta al San Paolo, venne licenziato a Bergamo. Basta e avanza, a Napoli, per pregare san Gennaro che il miracolo, in fatto di risultato e non di perdita del lavoro, si possa confermare ma la realtà di Conte è cambiata e lui ha cambiato la pelle della Juventus, vulcanica, provinciale, acerba, affamata come deve essere una squadra reduce da due settimi posti e, per non dimenticare, dalla serie B, cosa che, guardate un po le combinazioni di certi sedicenti grandi sfide, appartiene anche al Napoli, risorto come la fenice, da un inferno di retrocessioni, libri contabili, miserie e nobiltà. Roba di cinque anni fa mica dellaltro secolo.
Mazzarri e Conte hanno passato la nottata eduardiana, oggi si fanno le coccole uno con laltro, si considerano uguali anche se, come detto, sono diversissimi, quasi opposti. La camicia bianca e attillata di Mazzarri è diventato un simbolo per il Masaniello del san Paolo, i capelli rimessi sulla testa pensante di Conte erano loggetto di scherno degli avversari, oggi sono la vendetta del salentino fiero di avere un cervello sotto la zazzera. Mazzarri non ama la stampa, non corteggia i giornalisti, non li invita a cena, nemmeno gli passa per la testa di una telefonata di ringraziamento quando lo ricoprono di carezze mentre è pronto ad abbandonare il set televisivo se non gli garbano attese e critiche, come al presidente suo. Conte è più scafato, nel settore, ma ogni tanto torna nella terra sua, sole, mare e vento, si adira, ritiene di essere vittima di eccessive censure, dimenticando i tempi cattivi, quando anche la Juventus Signora Omicidi, quella di Boniperti, veniva fischiata dovunque e accusata di corrompere. Entrambi usano, spesso e troppo, il verbo «lavorare» quando sanno benissimo che trattasi di allenare, roba sempre seria ma meno impegnativa e più aderente ai salari dei «lavoratori» del pallone.
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