Generazione genitori dietro i trionfi azzurri

MilanoPrima delle coppe alzano i figli. Corrono, pedalano, faticano fanno cose che «noi umani non possiamo neanche immaginare» ma poi alla fine, al traguardo, si sciolgono al sorriso di un frugolo che li saluta da dietro le transenne tenuto in braccio dalla madre. Sono i nuovi campioni azzurri, padri e madri da medaglia. Da Daniele Meucci che due giorni fa ha vinto a Zurigo la medaglia d'oro della maratona a Valeria Straneo che il giorno prima si è messa al collo l'argento sulla tessa distanza dei 42 chilometri. Da Vincenzo Nibali che ha fatto quel che ha fatto nell'ultimo Tour de France e sui campi Elisi ha alzato al cielo la figlioletta Emma ad Alessandro Degasperi uno dei più forti triatleti azzurri che gira il mondo portandosi dietro la moglie e figlioletto Luca. E si potrebbe continuare. Giancarlo Ferretti, un pezzo di storia del ciclismo italiano, qualche settimana fa a chi gli chiedeva quale fosse il segreto di Nibali che dominava il Tour de France aveva risposto senza incertezze: «Perchè è il più forte e perchè ha un grande senso del dovere. Che solo un padre può avere...». Già, il senso del dovere. La capacità di far sacrifici, di non arrendersi, di non distrarsi, di finire una cosa che si comincia. Chi vince una maratona che vale un titolo europeo deve averla per forza quella «roba» lì. Non si corrono 42 chilometri tutti di un fiato se non hai qualcosa di solido a cui aggrapparsi. E Daniele Meucci, che otto anni dopo ha preso dalle mani di Stefano Baldini la corona di re della maratona azzurra, è un atleta che a 28 anni ha già costruito un bel pezzo della sua vita di affetti, di studi e di vittorie. L'ha detto lui stesso piangendo al traguardo: «Gli ultimi chilometri sono stati un'agonia ma ho pensato a mia moglie e ai miei figli che mi hanno spinto fino al traguardo…». Sta crescendo una generazione azzurra di genitori volanti e vincenti. Una generazione responsabile, senza eccessi e che fa della normalità una forza esplosiva da scaricare sul Tourmalet o sull'asfalto negli ultimi nove chilometri di una maratona. Un figlio cambia la testa. Insegna a concentrarsi di più sulle cose che contano, dà coraggio, obbliga a fare le scelte e magari anche a sbagliare. Fissa le priorità. E' «benzina» quando i serbatoi delle tue energie cominciano a svuotarsi. Per tutti gli atleti ma soprattutto per chi fa sport di fatica. Perchè chi è già abituato a far sacrifici, a stringere i denti a restare concentrato su un obbiettivo quando sa che ci sono i figli che lo aspettano all'arrivo trova forze inaspettate. Sa che tutto ciò che sta facendo è comunque un investimento che li riguarda.

Che un po' del suo lavoro è per loro. Sa che si aspettano qualcosa. Sa che la sua gioia al traguardo sarà condivisa senza bisogno di cliccare, postare o twittare. Non so se, come dice Ferretti, questo sia il «senso del dovere». Però fa la differenza.

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