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Il giallo della punizione battuta al contrario

Brasile-Zaire e la storia della "folle" protesta contro il tiranno Mobutu

Il giallo della punizione battuta al contrario

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Il giallo della punizione battuta al contrario

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Mondiali '74, sabato 22 giugno 1974. Una briciola in meno di mezzo secolo fa. Allo stadio «Park» di Gelsenkirchen si gioca Brasile-Zaire valida per il passaggio del primo turno. All'ottantesimo l'arbitro, il romeno Rainera, decreta una punizione per i verdeoro.

Siamo a circa a circa 30 metri dalla porta difesa dal portiere dei «Leopardi» africani, Kazadi. Rivelino prende la rincorsa ed è pronto a calciare. Rainera fischia. Ma ecco staccarsi dalla barriera il terzino Joseph Mwepu Ilunga (nella foto), 25 anni, che corre - incomprensibilmente - verso il pallone, colpendolo come se la punizione fosse a favore della sua squadra. La sfera sfiora la faccia di un esterrefatto Rivelino, mentre i giocatori in campo e i 35 mila spettatori non sanno cosa pensare.

Nel silenzio della folla l'arbitro tira fuori il cartellino e ammonisce Mwepu che solo in punto di morte svelerà il motivo di quel gesto inconsulto, passato alla storia del calcio come «la punizione battuta al contrario».

L'indomani i giornali offrirono la spiegazione più facile e in linea con un certo pregiudizio razziale: «Gli africani non conoscono il regolamento del calcio». Ed ecco servito il revival dell'uomo bianco che considera inferiore l'uomo nero, tanto da non riconoscergli neppure la capacità di padroneggiare le regole del football; mentre gli interpreti più benevoli tirarono in ballo un non meglio precisato «attacco di panico».

Ovviamente non era così. Joseph Mwepu Ilunga era un calciatore esperto, terzino del TP Mazembe, vincitore della Coppa d'Africa. E allora, resta la domanda: perché Joseph si comportò in quel modo? Ilunga il segreto se lo portò - nonostante l'aura di scherno che lo accompagnò per l'intera esistenza - fin sul letto di morte, quando rivelò la ragione del raptus, col risultato però di renderlo ancora più imperscrutabile. L'uomo della «punizione battuta all'incontrario», deceduto nel 2015, fornì infatti alla BBC tre versioni contrastanti 1) «Lo feci per protesta contro il dittatore Mobutu che aveva minacciato di morte noi e le nostre famiglie se contro il Brasile avessimo perso con più di tre gol di scarto (e quando Rivelino stava per calciare la punizione dello scandalo, il risultato era sul 3 a zero per i carioca ndr); 2) «Fu un gesto provocatorio nei riguardi della nazionale scozzese contro cui avevamo giocato la partita precedente, quando loro ci offesero per l'intera partita chiamandoci sporchi negri»; 3) «Decisi di ribellarmi perché, prima della partita contro la Jugoslavia, scoprimmo che non avremmo più ricevuto il premio promesso dal presidente Mobutu: 45.000 dollari a testa ed un'auto di lusso».

Fatto sta che nel match Jugoslavia-Zaire la formazione africana si ammutinò, beccando ben 9 gol. Mobutu andò su tutte le furie, prese da Kinshasa il suo jet privato e volò in Germania nell'albergo dei «Leopardi». Scortato da 12 uomini armati che puntarono il mitra contro allenatore e giocatori, il tiranno minacciò senza mezzi termini: «Se contro il Brasile perdere per più di 3 a 0, uccideremo voi e le vostre famiglie». Una punizione esemplare. Evitata, forse, grazie a una «punizione battuta al contrario».

Mobuto, fuggito in Marocco dopo aver depredato il proprio paese riducendolo in miseria, morì a Rabat il 7 settembre 1997. Mwepu si ridusse a fare il clown in tv nell'«Ilunga-Show». Lo spettacolo consisteva nel mettere un pallone davanti all'anziano Joseph, con l'ex nazionale zairese che lo calciava dinanzi a una vetrina. Lastra in frantumi. Applausi, Risate. E una tristezza infinita. Ilunga morirà a 64 anni a Kinshasa l'8 maggio 2015.

Per lui, l'ultima punizione.

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