Per i soldati della Var, il fatto, il misfatto, accadde una sera di maggio del Novantotto, ad Amsterdam. Finale di Champions. Vince il Real Madrid, perde la Juventus, gol di Predrag Mijatovic, in fuori gioco, forse, sì, no, chissà. Arbitro e assistente non fischiano e non sbandierano. Ormai è andata. La tesi sostenuta dal furbo serbo Mijatovic, quasi vent'anni dopo, è bizzarra: nessun juventino protestò nell'occasione, né Montero, né Davids andarono a urlare contro Krug, nome millesimato del tedesco arbitro. Dunque, conoscendo le cattive abitudini degli italiani, il fuorigioco era, ed è ancora, un'invenzione, in pratica un alibi degli sconfitti. Partita molto strana, prescindendo dall'episodio. Juventus ridotta di tono contro un Madrid niente affatto galactico.
Tradita dai suoi geni, al secolo Zidane e Del Piero, intontita dalla normalità tattica della squadra bianca, per la banda Lippi fu una serata storta, come l'anno prima a Monaco contro il Borussia. Stesso epilogo, stessa prestazione asettica, come era accaduto a Belgrado contro l'Ajax però di Cruyff e ad Atene contro Magath e un piccolo Amburgo. Luce fioca e assenze illustri. Ecco la negatività cui fa cenno continuo Allegri, una nuvola fantozziana che nulla ha a che fare con un grande club. Via i cattivi pensieri, Amsterdam fu la lezione poi smentita, da altre sfide, in semifinale, contro il Real da una Juventus più vera e sanguigna. Resta quel sospeso del fuorigioco.
Pedrag Mijatovic ribadisce la tesi, confortata dal sodale del tempo, Christian Panucci. Una bella coppia di maligni. La Juventus pensa ad altro. L'arbitro è ancora un tedesco, non più con un cognome da champagne, Krug, ma da supermercato, Brych. Palla al centro e auguri.TD
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