I 50 anni di Sampras, il re rimasto "nudo"

Aveva tutti i record del tennis. Roger, Rafa e Nole glieli hanno tolti uno a uno

I 50 anni di Sampras, il re rimasto "nudo"

«Se me l'avessero detto...». Già, non ci avrebbe creduto Pete Sampras, il campione silenzioso, che sarebbe arrivato a compiere 50 anni (oggi) tennisticamente nudo, spogliato di tutti i suoi record. L'ultimo, quello di aver chiuso per 6 anni al numero uno del mondo, glielo ha tolto Novak Djokovic alla fine del 2020, e Pistol Pete è rimasto un ricordo ormai sfumato nel tempo. «Già, se mi avessero detto che 20 anni dopo in tre avrebbero superato i miei Slam non ci avrei creduto».

Quando Sampras toccò quota 14 era il 2002, sembrava quasi impossibile. E lo pareva pure quando Federer, l'anno prima, lo aveva cacciato dai quarti di finale di Wimbledon in cinque set, dando il via a qualcosa che lo stesso Petros il nome all'anagrafe, figlio di immigrati greci ha poi giudicato così: «Roger è uno scherzo del destino che succede ogni 50 anni». In realtà il pronostico andrà poi rivisto, visto che a quota 20 Major ora ci sono anche Nadal e Novak, con quest'ultimo a caccia del Grande Slam. Ma d'altro canto Pete era il grande sogno americano di un'altra era, figlio di immigrati nato nel Maryland e figlio di altri tempi. Quando il mondo o era bianco o era nero.

Il contrasto per lui erano le sfide, epiche, contro Andre Agassi. E l'apoteosi fu nei quarti di New York 2001, un successo in quattro set di soli tie-break senza che nessuno avesse mai perso il servizio. Standing ovation: cinque giorni dopo però, ecco l'11 settembre. Con il ragazzo di Las Vegas giocò anche quella che ha definito «la mia miglior partita di sempre», ovvero la finale sull'erba dei Championship del 1999: «Non so come, ma ogni cosa che facevo mi riusciva». Ed in effetti Agassi ricorda quel match come un incubo: «Sembrava che Pete volasse sull'acqua». A Wimbledon Sampras vinse sette volte, ed anche quello è stato a lungo un primato. Fino a che Federer, nel 2017, ha fatto otto: «Roger in forma può vincere a Church Road ogni anno». Peccato però che il tempo passi alla fine per tutti.

Pete Sampras è stato il simbolo dell'epoca del boom, seppur un vero enigma come lo definiva il suo allenatore Paul Annacone «perché prima di dare confidenza a qualcuno lo devo conoscere bene». Lo era, un enigma, anche sul campo, quando era impossibile a volte leggere il suo servizio devastante tirato con la lingua di sbieco. Era nato per il tennis, «e per diventare campione». È vissuto per essere il numero uno: «Arrivarci è stato facile, mantenere quel posto è stata la cosa mentalmente più difficile della mia carriera: non ero uno che amava parlare dei fatti propri con uno psicologo».

Alla fine se n'è andato come capita ai più grandi: battuto da Bastl nel cimitero degli elefanti di Wimbledon (l'ex campo numero 2), è arrivato agli Us Open quasi senza speranza, finendo per vincere il suo ultimo Slam contro il solito Andrè. La partita finale: si ritirerà infatti un anno dopo senza aver più toccato la racchetta. E questo, forse, è il record che non gli porterà via più nessuno.

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