Saul Malatrasi, 85 anni, mastica calcio con la stessa padronanza del Clint Eastwood trituratore di cigarillos nei film spaghetti western di Sergio Leone. Ma se il vecchio Clint i cattivi li faceva secchi a colpi di colt, il giovane Seul li neutralizzava a suon di marcature: strette come le guêpière delle donzelle nei saloon. Nato a Calto (Rovigo), cresciuto nella Spal, poi quattro anni alla Fiorentina e uno nella Roma per poi diventare l'eroe di due mondi (quello interista e quello milanista) orbitanti nello stesso stadio di San Siro. Unico terzino (ma anche libero e mediano, come si diceva quando si parlava facile) nerazzurrorossonero ad aver vinto - con entrambi i club milanesi - la Coppa dei Campioni e la Coppa Intercontinentale: un record. Arricchito in carriera anche da tre scudetti (due con l'Inter e uno col Milan); una Coppa Italia (Fiorentina) e due di Coppa delle Coppe (Fiorentina e Milan). Poi tanti anni da allenatore insegnando calcio, ma senza bisogno di block notes e lavagne perché il football cambia, ma gira sempre attorno alle stesse leggi. Anche se oggi in tanti lo dimenticano, stregati da tattiche e schemi che complicano la semplicità.
Signor Malatrasi, chi la spunterà nel derby di Champions?
«Chi farà la - anzi le - partite perfette. Vietato sbagliare. Comunque vada, io sarò felice. Metà del mio cuore batte per il Milan e metà per l'Inter. Ma un sogno ce l'ho: riguarda le magliette...».
Le magliette?
«Sì, vorrei tanto che le milanesi la semifinale la giocassero indossando le divise della gloria. Niente stravaganze: da una parte righe nerazzurre verticali larghe; dall'altra righe rossonere verticali strette».
Un tuffo nel passato, alla faccia delle stravaganze modaiole.
«Sì, un tuffo nel passato ci starebbe bene. Soprattutto se, quel passato, è grondante di gloria».
Lei ne sa qualcosa. Aver vinto Coppa dei Campioni e Intercontinentale con Inter e Milan è roba da primato.
«Sono stato fortunato, giocavo con campioni come Mazzola, Rivera e tanti altri».
Allora i difensori erano belli tosti, altro che marcature a zona
«Lì dietro non si facevano complimenti. Quando oggi vedo che ci sono attaccanti che segnano completamente soli nell'area piccola, non credo ai miei occhi».
Ai suoi tempi invece...
«Se il mio uomo avesse fatto gol libero da ogni pressione, Rocco o Herrera mi avrebbero tenuto fuori squadra tre mesi».
Un rischio che lei non ha mai corso.
«No. E sa un'altra cosa che trovo inconcepibile?».
Dica...
«Oggi in tantissime partite i gol decisivi vengono segnati nei minuti di recupero. Questa mancanza di concentrazione da parte delle squadre che sono in vantaggio è assurda. Possibile che non siano capaci di difendere il risultato?».
Da cosa dipende?
«I tecnici moderni non istillano più i fondamentali della cultura difensivistica, forse per paura di essere etichettati come catenacciari. Ma questa è solo una delle tante follie del calcio attuale».
Me ne dica un'altra...
«Le sembra possibile che, durante le partite, gli allenatori sbraitino dal primo all'ultimo minuto correndo come forsennati lungo le fasce laterali? Magari lo fanno per accaparrarsi le simpatie dei tifosi. Certo è che se fosse successo ai nostri tempi li avremmo presi per pazzi. Rocco ed Herrera non avevano bisogno delle urla per farsi rispettare».
Due miti, dai caratteri diversi.
«Herrera ci dava del lei ed era poco empatico; Rocco era più bonaccione, ma quando si incazzava...».
È vero che il Paron una volta le confessò: «Caro Saul, quando quel mona di Herrera mi consigliò di prenderti al Milan, pensai che voleva rifilarmi una fregatura...».
«Confermo. E ci ridemmo su».
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