Italia-Usa vale doppio Il volley cerca la finale Il Setterosa vuole l'oro

I siluri dello Zar e le palombelle di Arianna costringono gli americani a occuparsi di noi

Italia-Usa vale doppio Il volley cerca la finale Il Setterosa vuole l'oro

Vittorio Macioce

nostro inviato a Rio de Janeiro

Gli americani che espatriano te li ritrovi tutti quaggiù, come in una canzone di Dalla-De Gregori. Rio la considerano la loro Olimpiade, perché si muovono in gruppo e occupano i ristoranti, perché ogni medaglia è scontata, perché un po' non sanno perdere, perché le gare di nuoto e atletica sono sintonizzate per la prima o seconda serata di Los Angeles e di New York, perché la Russia è stata ridimensionata, perché qui si sentono ancora un impero senza rimorsi. Di solito non ci pensano all'Italia, non la vedono, se ne accorgono solo quando se la ritrovano di fronte e allora, sì, si ricordano che dagli italiani non si sa mai cosa ti puoi aspettare, con quel modo tutto loro di sorprenderti, e così li senti chiacchierare di questo incrocio di medaglie. E' il caso di preoccuparsi? Perché oggi è il giorno della doppia sfida: nel volley maschile e nella pallanuoto femminile. Semifinale e finale. Non capita spesso di giocarsi Italia-Usa, faccia a faccia, con le stesse paure e le stesse possibilità di vittoria, in due sport di squadra pesanti, di quelli che fanno parte della leggenda dei giochi. Come si battono gli americani? Con quello che da sempre siamo, l'inatteso. E' quello che emoziona l'America, ma li fa sentire vulnerabili.

Un missile e un pallonetto. Sono due modi diversi per fare male. Ivan Zaytsev è lo zar, madre e padre russi, ma se qualcuno gli domanda di dov'è lui senza neppure pensarci dice subito «di Spoleto». Martedì contro l'Iran è andato tranquillo alla battuta. Gli avversari dall'altra parte della rete hanno cominciato a guardarsi le dita. Le palle dello zar fanno male. Questa di più. Sta viaggiando a 127 chilometri orari, quasi a rischio di multa in autostrada. E' la battuta più veloce di sempre. Chi pensa che le statistiche non siano solo numeri ha preso nota. Ivan per arrivare in finale mette sul piatto tutto, giocando con la scaramanzia, tanto da dire a soli 27 anni che sta invecchiando: «E' ora che appenda le scarpe al chiodo. Se vinciamo l'oro smetto. Ve lo dico, smetto». Li abbiamo già battuti, nella prima fase, è per questo che negli States si stanno già raccontando la bella storia, quella classica da caduta e resurrezione, quella degli eroi che prima devono soffrire per trovare la vittoria. E allora scrivono che la favola da raccontare è il come back. E' la forza di lasciarsi alle spalle le due sconfitte inziali contro il Canada e gli azzurri per riprendersi quello che gli appartiene. Sono campioni del mondo, ma sono anche ragazzi che lottano contro i loro stessi fantasmi. Contro le paure di Matt Anderson e Aaron Russell, che l'Italia la conoscono bene, perché Matt ha giocato a Modena e Vibo Valentia e Aaron indossa ancora la maglia di Perugia, due schiacciatori letali che però ogni tanto si perdono. La differenza sarà nella battuta, se li metti in difficoltà in ricezione andranno in crisi. Ma gli americani sperano sempre nel lieto fine (per loro): erano morti e ora intravedono l'oro.

Arianna Garibotti parla poco e disegna parabole. Si sta giocando la semifinale contro la Russia, l'Italia è sotto, sta perdendo due a zero, partenza brutta, disorientata, serve un apostrofo rosa, tra l'acqua e il cielo. Arianna lo disegna, con una palombella leggera che segue la linea invisibile dove non è possibile arrivare. I telecronisti di tutto il mondo, magari senza troppa fantasia, lo hanno definito un gesto rinascimentale. Ma quello che non dicono è che le ragazze della pallanuoto stanno cercando qualcosa di ancora più concreto. Lo ripetono dopo ogni partita, come un ritornello, come una promessa: «Giocare il torneo perfetto». Non inseguono il passato. Non si voltano indietro, perché hanno paura di restare pietrificate. Nessuna di loro, perfino chi c'era, fa riferimento all'oro di Atene del 2004.

Non ne parla soprattutto Tania, Tania Di Mario, che a 38 anni mostra che il talento italiano non brucia quasi mai in fretta, ma è così denso che resiste agli anni e alla fatica. «Ho un'età che ormai mi commuovo facilmente. Ci meritiamo tutto questo, ma ancora non abbiamo fatto nulla. Sono fiera di essere il loro capitano, mi hanno regalato la possibilità di vivere un'altra volta un sogno».

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