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Italianità, credibilità e gloria: tutti i motivi per tifare Juve

Tra crisi, pochi risultati e padroni stranieri, la Signora è il made in Italy che avanza. Anche gli "anti" devono sperare nell'impresa per dimostrare che il nostro calcio è vivo

Italianità, credibilità e gloria: tutti i motivi per tifare Juve

In attesa dei Paperoni, la speranza del calcio italiano si chiama Juventus. Non tanto (non solo) la speranza di vederla in finale di Champions league quanto la speranza del poter dire: il nostro calcio esiste. Compito arduo, perfino ingeneroso affidarlo ad una sola squadra, difficile che l'italian style tifoso accetti di delegare alla Signora d'Italia l'idea di rappresentare un movimento. La compagnia degli «anti» è vasta e numerosa, circa la metà d'Italia, ma stavolta esiste una ragione per non essere del tutto «anti».

Il nostro pallone ha problemi di credibilità e affidabilità, squadre blasonate messe in mano al danaro (quanto non si sa) straniero per risollevarsi. Inter e Roma all'indice dal fair play Uefa. Berlusconi che sta per cedere alle ragioni della razionalità economica, dopo aver lottato con le ragioni del cuore. La nazionale che ci ha rifilato una immonda figura ai mondiali brasiliani. I nostri calciatori che, all'estero, valgono la retrovia del calcio mercato. Eppoi c'è la Juve che in qualche modo, magari fortunata, magari benedetta da qualche decisione arbitrale, ricorda che il made in Italy esiste: una squadra per metà nostrana, un padrone italiano, un allenatore italiano, un gioco che rispecchia la qualità tattica del nostro pallone, e una finale di Champions a portata di sogno. Segno e sogno è stato il refrain che l'ha condotta fin a «95 minuti da Berlino» (copyright Allegri). Chi, appena conclusa la partita d'andata con il Real, non si sarà lasciato sfuggire: «Al ritorno quelli fanno tre gol e la chiudono». Quelli intesi come Real, nonostante una difesa non proprio rassicurante, un centrocampo non esaltante e neppure di idee brillanti: pesa l'assenza di Modric. Eppure il Real ha pareggiato l'ultima partita di campionato e perso, forse, l'ultima chance per vincere la Liga. Il Real continua a battersi con giocatori a mezzo servizio, Benzema al rientro, Kroos un po' acciaccato, Bale che, tramite il procuratore, lamenta l'indifferenza dei compagni («Lo servono poco e male»). A casa nostra sarebbero segnali di insofferenza. Poi quei pali che il Real colpisce a mitraglia: uno contro la Juve, tre contro il Valencia. La Juve deve temere un'inversione di marcia della buona sorte. Quella certamente.

Il resto è refrain: segna e sogna. Molto più credibile di quello che potrebbero rifilarci Napoli e Fiorentina in Europa League. La Viola quasi fuori. Il Napoli che ha la chance ma poi, anche vincesse la coppa, sarebbe l'ennesimo segnale di una casualità che lo ha accompagnato per tutta stagione. Non così la Juve che regala solidità e speranza, più rassicurante nel rapporto con l'Europa rispetto al delirio tremens propinato da Conte. Aggrapparsi alla Signora significa credere di aver visto una squadra capace di confrontarsi con il Real, non proprio di batterlo. Il miglior Real è certamente superiore, questo forse no.

La Juve ritrova Pogba, uno dei pochi giocatori che il football internazionale le invidia. Cristiano Ronaldo resta un re del calcio, ma la Uefa ha sentenziato che Carlos Tevez sta giocando la sua miglior Champions. Cinque giocatori bianconeri sono stati considerati degni del top team delle prime semifinali. E, guarda caso, ma qui il palato si fa più dolce, tre di essi (Chiellini, Bonucci e Marchisio) sono italiani. Tevez e Vidal gli altri due.

Come dire: Juve-Italia, qualcosa ce lo ricorda. Il Bernabeu è un Colosseo che ti ipnotizza attraverso il suo muro di folla, Il Real è un nome e un marchio, ma la Juve ha vinto due volte nello stadio di Madrid ed è stata la prima squadra italiana ad espugnarlo: nel 1962. Il calcio nostrano sta cercando una ragione per non sentirsi una provincia del pallone che conta. La Juve ha l'occasione per celebrare una speranza, anche per autocelebrarsi. Meglio vedere in finale una squadra a forte impronta italiana che un allenatore stra-italiano. Ma solo un allenatore.

E nel calcio, come nella vita, vince chi gioca non chi sta in panchina.

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