Lacrime Ferrari, ferma alla medaglia di legno

Quarta per un passettino di troppo: "A Londra fu ingiustizia, qui invece ho sbagliato io"

Lacrime Ferrari, ferma alla medaglia di legno

RIO DE JANEIRO - Maledetta, ultima diagonale. Maledetto tendine malandato. Maledetto il passettino in più, sull'uscita finale, maledetto il vincerò che resta sospeso, come una piccola impercettibile stecca sull'acuto finale. Non basta la Turandot. L'alba per Vanessa Ferrari non arriva neppure stavolta. Come a Londra, peggio di Londra, quarta, in lacrime, giù dal podio. "Ma questa volta non ho nulla da recriminare, l'ingiustizia è quella di quattro anni fa. Non questa. Qui ho sbagliato io". Dimenticare Londra è difficile. Vanessa lì aveva lo stesso punteggio della russa Alyna Mustafina. A questa però andò il bronzo: venne premiata per regolamento la migliore esecuzione rispetto alla difficoltà di partenza. Questa di Rio era l'ultima occasione. Non ce ne sarà un'altra. "Non ho ancora deciso se mi ritiro. Ci penserò domani". Ma tutti sanno che in realtà è così. La più forte ginnasta italiana di tutti i tempi, l'unica a vincere un mondiale, chiude qui, ai piedi della leggenda.

Il Nessun dorma è da brividi. È la stessa scelta di Aarhus 2006. Sembra una profezia, una premonizione, e il pubblico lo sente. È la più applaudita insieme a Simone Biles, che vince l'oro e ormai sa di Comaneci. Vanessa salta, danza, si ferma, incanta, svela ogni segreto e si concede, sembra davvero incarnare la storia della principessa persiana di Puccini. Turandot è gelida, è dura, sembra senza sentimenti, non prova pietà, non sente perdono. Quando dieci anni fa, non ancora sedicenne, vinse il primo mondiale guardava fredda i giornalisti e rispondeva a monosillabi. Non per timidezza e neppure per presunzione, ma perché abituata a difendersi. Non ti puoi fidare se gli altri sono ingiusti. Tutta la vita a cercare la perfezione, senza alibi, senza concedersi nulla, con la testardaggine di chi pensa che se sfiori l'impossibile fai solo il tuo dovere. La severità con cui si allena, con cui si vede, con cui si allena è il suo principio morale. Non permettere mai a nessuno di dire: non hai fatto abbastanza.

Quelli che le vogliono bene la vedono come la farfalla di Orzinuovi, chi guarda alla durezza del suo carattere la chiama semplicemente la cannibale. Non le importa. Il bello di Vanessa Ferrari è che non mente e non finge mai. Quando nel 2012 sentì il disgusto per uno sport dove la diplomazia qualche volta conta più del talento non smise per una sola ragione, per i soldi. E non c'era nulla di male ad ammetterlo. Non importa se qualcuno malignò sul suo cuore da figlia di commercianti. Il suo cuore, disse, proprio per questo è cresciuto onesto. E dei commercianti conosce il sacrifico e la fatica, il non cercare alibi, il non piangere sulle disgrazie. Con gli anni si è ammorbidita, ma per queste Olimpiadi ha dato davvero tutto. Come Turandot alla fine ha tolto i lucchetti al suo cuore, qualcuno è riuscito a risolvere i tre indovinelli, il suo nome nessun saprà, ma l'importante è che si chiama amore. Il suo allenatore Enrico Casella è contento di questa nuova Vanessa e svela il nome del ragazzo. "Quando Vanessa è allegra, funziona tutto. E Simone la tiene allegra". È vero, ad una storia così bella e dura, manca il lieto fine. Ma non fa niente.

Nella vita si può vincere tutto e lasciare qualcosa di non realizzato. Senza rimpianti, senza lacrime troppo lunghe. L'importante è fare il proprio dovere. Vale quanto una medaglia d'oro. E prima o poi all'alba, da qualche parte, Vanessa vincerà.

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