Milano - Eccolo lì il presidente. E' arrivato a San Siro trequarti d'ora prima come quelli che una volta gremivano i popolari e avevano in mente solo una cosa: chi tardi arriva male alloggia. Ai suoi tempi in gradinata girava così, i posti centrali andavano via come il pane, non era un problema che lo riguardava ma gli piaceva quella gente che s'affrettava per vedere quell'Inter che non era ancora sua. Adesso ha promesso che ci va per davvero in gradinata, perché lì si divertirà di più, adesso che quest'Inter non sarà più sua. «Ma quante volte mi avete detto che questa sarà la mia ultima partita?». E ride. Gliela stanno menando da un pezzo con questa storia del Thohir, il 70 per cento e la carica di presidente. Fa: «Emozionato? E perché? No, nessuna particolare emozione, non credo che questa sarà l'ultima volta che vengo alla stadio, io spero proprio di continuare a vedere le partite». Stai a vedere che adesso gli danno l'inibizione, sarebbe capace di comprarsi la tessera, lui è così, come quando vide per la prima volta l'Inter in trasferta Uefa con il Norwich, in tasca il biglietto d'ingresso pagato.
Quando è entrato in tribuna ieri sera boato, tutti in piedi a battere le mani, se n'è prese di standing ovation in questi mesi, ieri sera anche un lenzuolo lungo quanto tutta la Nord che non è sembrato così ossequioso. Ricordava i suoi 18 anni di gestione con uno strano rimprovero al suo interismo: l'essere troppo tifoso, gli ha scritto la Nord, a volte è deleterio. Un miliardo e mezzo lasciato lì sul banco per farla grande, la famiglia da sola a fare più di mezza storia vincente dal giorno della nascita, e sul terzo dei drappi c'era scritto: « grazie presidente, in fondo le abbiamo voluto bene». Mah.
Chi paga ha sempre ragione, la curva poi
Ma la realtà dice che nel calcio cambiano gli allenatori, i calciatori, i presidenti, perfino i tifosi, un'unica cosa resta eterna: il nome. E Massimo Moratti ha dato sempre l'idea di averlo capito fin da piccolo, l'Inter in testa. Adesso è lì con tutto il clan, la signora Milly a sinistra, Angelomario a destra, la Bedi discreta in disparte, il Tronchetti pronto al rinnovo che ha giurato fedeltà finché lui rimane, la fila sopra.
Chi ha avuto la fortuna di conoscerlo quando era solo il presidente della Motonautica sa che Moratti è rimasto Moratti, uno che frequanta lo stadio, casa sua. Il pomeriggio di Parma-Inter, doppietta di Ibrahimovic, scudetto, la partita più sofferta per sua stessa ammissione, eravamo scivolati dietro la sua poltroncina del Tardini per cogliere al volo le sue prime battute. Accovacciati e in trepida attesa. Lui si gira, si accorge della presenza: «Mannò, cosa fa, si tiri su», e guarda lo stewart come per chiedere di avere comprensione. Adesso cosa gli diranno: che non può più entrare ad Appiano? Ma quello è il centro Moratti, pagato da papà Angelo per far felice il Mago, roba sua anche se rientra nel passaggio di consegne.
Ieri sera l'Inter non gli ha regalato un addio memorabile, lui sempre tollerante: «E' importante fare i tre punti visto che ci sarà lo scontro diretto fra due squadre che stanno sopra di noi». Verrebbe voglia di dirgli che l'autogol di Bardi è schema, roba buona.
Il nostro a volte è un mestiere un po' bastardo, però qualcuno deve pur farlo. Lui mai una volta che si sia risentito o rivoltato, ha avuto buone parole per Galliani caduto in disgrazia ma anche ieri sera gli sono arrivate un paio di fucilate: presidente, ha sentito Benitez? Bella riconoscenza. E lui: «Ha ragione visto che poi quando è arrivato Leonardo i giocatori li ho comprati. E' anche questione di simpatia». Dice sempre qualcosa in più Moratti, basta ascoltarlo.
Poi la fucilata al cuore: allora presidente, arriva Thohir, lei via, fine di un'epoca? «Mannò, l'Inter rimane, tutto va avanti». Dice di no, ma ha sofferto anche ieri, e quando Saverio Zanetti è entrato, era lui in piedi a battergli le mani, come uno della gradinata.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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