L'Italia cerca novità ma la vecchia guardia ha già fatto i giochi

Buon ultimo, Joseph Blatter ha bocciato l'Italia di Prandelli. «È mancato lo spirito offensivo, l'Italia ha aspettato, aspettato, ma nel calcio devi segnare». C'è un po' di politica sportiva in questo attacco, un infilare il dito nella debolezza diplomatica italiana che non sa farsi rispettare nemmeno fuori campo. E non serviva il presidente della Fifa per farci sapere che nel calcio bisogna segnare. Ma oggi il problema del calcio nostrano non è tanto, o solo, quello del segnare sul campo. Qui serve segnare fuori campo. E i presupposti mettono i brividi.
Un antico navigatore come Sandro Mazzola, in una intervista all'Osservatore Romano, ha sfoderato la ricetta più semplice e spesso dimenticata: «Se il calcio è in crisi, facciamolo salvare da chi ne capisce». Ovvia la sintesi, date un occhio al dimissionario Abete, allo scalpitante Tavecchio, presidente dei dilettanti, al doppio stipendiato Beretta, presidente della Lega di A, al furbo Macalli, presidente della Lega Pro, che finge di voler scegliere poi schiaccia l'occhio a Tavecchio. Mettiamo un passo indietro Abodi (serie B), Nicchi (arbitri), mastro Ulivieri (allenatori) e Don Chisciotte Tommasi (calciatori) che rappresentano il resto della compagnia chiamata a gestire elezioni e futuro. Tutti quanti questi signori, magari escludiamo Ulivieri e Tommasi che capiscono anche di calcio, si intendono di intrighi pallonari più che di football detto all'inglese, di politica del mondo federale più che di mezzi e sistemi per salvare un mondo.
Mazzola propone l'antico nemico, ovvero Gianni Rivera a capo della federazione. «Perché non è stato solo un fuoriclasse sul campo, ma ha grande esperienza a livello dirigenziale e conosce bene la realtà giovanile». Discorso condivisibile se non fosse che Rivera è stato più bravo sul campo che nelle esperienze dirigenziali. Ma quel mettersi le mani nei capelli che sfocia dal discorso dell'ex dirigente interista, dovrebbe essere un gesto, una preoccupazione di tutti. Il calcio cerca il nuovo? E infatti Mario Macalli, 77 anni, da ben 14 presidente della Lega pro, un passato a conquistare poltrone e scrivanie, ha fatto sapere che il nuovo va rottamato. Meglio quelli come lui e con lui, ovvero Tavecchio («Parliamo la stessa lingua»). La sua notazione a margine dice che alcune candidature non potrebbero neppure dirigere un oratorio. Peccato che il calcio di oggi sia stato guidato peggio di un oratorio. Ed è questo il vero scandalo di un universo che non vuole mollare l'osso e sta macerando il pallone: non accetta di cercare e creare la novità, finge di non capire che così non va. Macalli e Tavecchio, sponsorizzato dall'inesauribile Franco Carraro, in coppia sommano percentuali voto che potrebbero portare a un deciso orientamento e alla conclusione dei giochi presidenziali in tempi brevi. Troppo facile!
La guerra dichiarata al Coni chiude la porta anche a facce nuove. Non è un mistero che Malagò avrebbe preferito un manager di estrazione extracalcistica. Magari che capisse (poco) di pallone quanto i “semprepresidenti” che non vuole dire “sempreverdi”, ma avesse idee innovative. Qualcuno ha parlato di Veltroni, altri di Flavio Cattaneo, meglio se personaggi meno targati e con esperienza di multinazionali. Però l'identikit è quello: qualcuno che smuova l'acqua stagnante, sapendo gestire conti e idee.
E qui veniamo al vero problema. Il calcio tiene i recinti chiusi, anzi sbarrati. Nel fiume di parole postprandelliano, in attesa di salvare federazione e nazionale, i più silenziosi sono stati proprio i dirigenti dei club, cioè coloro che dovrebbero avere più a cuore la situazione. Come non dare ragione ad Albertini quando dice: qui conta solo il fatto economico e commerciale, il pallone non è più centro dell'interesse. I dirigenti, così facendo o non facendo, danno ragione a chi li presenta al pubblico con la scritta “wanted” sopra la faccia, stile vecchio west. Cioè: colpevoli voi di questo sfascio. L'indifferenza per la sorte di nazionale e federazione demarca la logica di lor signori: i club si fanno gli affari propri gestendoli grazie alla Lega e a un presidente travicello sebben doppio pagato.

Che poi la federazione rischi di restare in mano a logorati dirigenti e la nazionale venga affidata a competenze non attendibili(anche se per il ct è circolata l'ipotesi Conte part time), non è problema loro. Anzi, meglio così.
Meglio dedicarsi agli affari con i procuratori. Tanto c'è sempre un Raiola che ti porta un Balotelli per un dai e vai che fa tornare i conti.

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