Deludono i ciclisti? Si arrende troppo presto la spada della Fiamingo? Samele si ferma solo davanti alle sciabolate dell'imbattibile Szilagy? Nessuna paura: l'Italia a cinque cerchi è sempre capace di magie, di far spuntare dal cilindro l'oro che non ti aspetti. Quante volte è capitato. E anche a Tokyo l'oro spunta dal nulla, non per i frequentatori di tatami e per gli esperti di taekwondo, ma per l'italiano seduto davanti alla tv in cerca di emozioni, Vito Dell'Aquila non era certo uno dei nomi da segnare sul taccuino olimpico. Eppure questo ragazzo pugliese di Mesagne di appena vent'anni, che regala il primo trionfo alla nostra spedizione, era accreditato di pronostici ottimistici, visto che si presentava in Giappone come numero due del ranking mondiale. Il problema vero era piegare il coreano Jun Jang, il fenomeno della categoria sotto i 58 kg, ma il favore glielo faceva Mohammad Jendoubi, giovanissimo lungagnone tunisino, che eliminava Jang prima di guardare Dell'Aquila dall'alto in basso nella sfida decisiva. Ma Vito the Eagle, come lo chiamano ovviamente nell'ambiente, non ha avuto pietà.
Dell'Aquila spunta nella storia dello sport italiano a metà mattinata con la sua semifinale contro un argentino dal nome temibile (Lautaro) ma dal cognome banale (Guzman), travolto senza problemi nel palazzetto di Makuhari. Vito lo prende letteralmente a calci, perché l'essenza di questo sport è saper muovere bene i piedi e andare a bersaglio sul corpetto e sul casco dell'avversario. È un'altra immagine tutta italiana di questa estate, in cui già gli azzurri di Mancini hanno preso a calci tanti mesi di tristezze e sofferenze regalandoci il trionfo di Wembley. Adesso anche il primo oro di Tokyo arriva grazie all'arte pedatoria di un altro azzurro, più anonimo, ma non meno meritevole. E se l'Italia del football ha liberato le nostre notti folli, questo piccolo grande eroe del taekwondo non riempirà le piazze ma si ritaglia l'inevitabile angolo di popolarità rifilando una serie di kick pesanti al tunisino, partito in vantaggio, ma rimontato negli ultimi 15 secondi del combattimento, quando noi neofiti di questo sport non riuscivamo a decifrare tutti gli scambi ravvicinati, ma ci lasciavamo entusiasmare da quel trunk, trunk che usciva a ripetizione di fianco al punteggio del'azzurro.
«Ho vissuto malissimo il 2020 confessa Vito con la medaglia al collo -, un anno senza obiettivi, in cui tutto andava storto. Ma questo oro mi ha ripagato. Mi sono vaccinato per vincerlo, adesso dovete farlo tutti. Vengo da una famiglia umile, dove mi hanno insegnato a lottare per i miei sogni, mi sono fatto un mazzo tanto e ho avuto anche un po' di fortuna. Sono fiero di essere il primo medagliato italiano nato nel nuovo millennio (è del 2000, anno in cui il taekwondo ha fatto il suo debutto olimpico a Sydney). Dopo tutto quello che ha passato l'Italia, per fortuna sono arrivate le vittorie dei Maneskin, degli azzurri di Mancini e ora la mia. È un onore».
Insomma, il primo miracolo all'italiana di quello sport minore che esce dall'anonimato delle palestre più oscure ogni quattro anni (cinque questa volta). Dicono che il taekwondo sia uno degli sport più praticati al mondo, in Italia sappiamo che è lo sport nazionale di Mesagne, 25mila anime in provincia di Brindisi e due medaglie d'oro, perché l'altra l'aveva conquistata Carlo Molfetta a Londra 2012. Gli unici due trionfi olimpici azzurri in questa disciplina. Mesagne che sta al taekwondo come Jesi sta alla scherma, insomma quelle splendide realtà di nicchia che solo certi sport sanno creare.
Adesso Vito The Eagle vola alto e potrà dedicarsi all'altro suo sogno, fare il giornalista: «Mi iscriverò a Scienze della comunicazione per fare questo lavoro e
scrivere di taekwondo, perché se ne parla troppo poco». Noi siamo pronti a cedergli il posto, ma temiamo, purtroppo, che anche lui dovrà rassegnarsi a farlo ogni quattro anni. Se tutto va bene e se troverà un altro Dell'Aquila.
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