Maglia arancione, presente nero. L'Olanda calcistica è in crisi. Lo ha confermato la sconfitta di sabato contro la Bulgaria, nazionale al 71° posto del ranking Fifa, che è costata la panchina al tecnico Danny Blind (in panchina questa sera contro l'Italia ci sarà il traghettatore Fred Grim). Gli oranje, quarti nel loro gruppo, sono vicini alla seconda mancata qualificazione consecutiva a un grande torneo dopo il flop per Euro 2016. Non si vedeva un'Olanda così poco competitiva dagli anni Ottanta quando, tra la fine della generazione Cruijff e la nascita della generazione Van Basten vennero mancati due Europei ('80, '84) e altrettanti Mondiali ('82, '86). Di nuovi Van Basten, Gullit, Rijkaard o Koeman però all'orizzonte non se ne vedono, con l'Olanda attuale aggrappata alle vecchie stelle Sneijder e Robben.
L'Olanda è prigioniera del mito che essa stessa ha creato. La scuola olandese l'hanno copiata in tanti, dalla Spagna al Belgio, alla Germania, mescolandola però con altri elementi e rendendo il proprio progetto moderno e funzionale. La Federcalcio oranje è invece ancorata ai dogmi del passato, anche se oggi non trovano più riscontro in campo. Lo avevano capito Van Marwijk e Van Gaal, con il primo che propose il doppio mediano De Jong-Van Bommel e l'ultimo che schierò una difesa a cinque. Risultato? Secondo posto a Sudafrica 2010, terzo a Brasile 2014. Quando invece l'Olanda ha voluto ritornare al passato, al 4-3-3, si è sgretolata: zero punti a Euro 2012, flop in serie negli ultimi tre anni. La scelta di Danny Blind come ct si è rivelata rovinosa. Lo dicono i numeri: 17 gare, 1.41 di media punti, la seconda peggiore nella storia olandese dopo quella di Hiddink periodo 2014-15. Blind ha perso il 41% di partite, contro il 7% della seconda gestione Van Gaal, il 15% di Van Marwijck e il 12% di Van Basten. Il suo fallimento è anche quello della politica federale.
Non si può negare che l'Olanda soffra anche di una crisi generazionale, basti pensare che il ruolo di prima punta ricoperto negli ultimi anni dai vari Kluivert, Van Nistelrooy e Van Persie, è oggi appannaggio di uno tra Dost, Janssen e Luuk de Jong. Non propriamente dei bomber di livello mondiale. La Eredivisie continua a primeggiare, tra i principali tornei d'Europa, per media di giocatori provenienti dai vivai e militanti nel massimo campionato nazionale, attestandosi sul 64.6% (la Francia, seconda, è al 58.2%). Quantità però non significa qualità, come dimostra la minor incisività dei giocatori di esportazione rispetto al passato. Sono storia recente i flop di Depay al Manchester United e Janssen al Tottenham. Nel Liverpool c'è Wijnaldum, un buon giocatore, non una stella, mentre nel Barcellona Cillessen fa il secondo portiere. La presenza delle nuove leve oranje nei top club finisce qui. E' anche una questione di tempistica: se i Van Nistelrooy e gli Sneijder lasciavano l'Olanda a 24-25 anni, da giocatori maturi, oggi basta una stagione di livello per fare le valigie.
Con casi estremi come quello di Bouy, passato alla Juventus senza nemmeno aver debuttato con l'Ajax, o Kishna, trasferitosi alla Lazio dopo mezza stagione da titolare in Eredivisie. Una nota infine riguardante i tecnici: pochi quelli emergenti, e il solo Koeman titolare di una panchina importante (Everton) ad alto livello. Insomma, è crisi vera.
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