
Il giorno dopo il mondo dello sci si interroga. Ma prima c'è chi piange. Sono i compagni di Matteo Franzoso: "Sappi che ti porterò con me per tutta la vita: ogni mia curva sarà anche tua", scrive il compagno di stanza Giovanni Franzoni. "Per il podio di Wengen, sei stato il primo ad abbracciami e a dirmi bravo ricorda Mattia Casse -, mi hai alzato come se fossi una piuma ed eri felice come un bambino". "Molto spesso ci chiedevamo Ma perché non facciamo slalom? Siamo più forti che in velocità. Non sai quanto darei perché fosse stato così", scrive amaro, un altro compagno, Bejamin Alliod. I social traboccano di foto di Franz e di ricordi da parte di tutti quelli che lo hanno conosciuto, da Nadia Fanchini a Sofia Goggia, dalla Shiffrin a Kilde e Odermatt.
Intanto la politica e le istituzioni si pongono finalmente delle domande. Proprio ieri era in calendario il primo di 4 appuntamenti che il ministro Andrea Abodi aveva indetto per la sicurezza sugli impianti da sci. Al gruppo di lavoro erano invitati, fra gli altri, anche la Fisi, gli impiantisti di Federfuni ed Anef, le associazioni dei Maestri di sci. Fra le decisioni prese, quella di studiare proprio tragedie come quella di Matteo Franzoso e Matilde Lorenzi e capire come colmare il gap sicurezza fra piste di gara e di allenamento. A far sentire la loro voce anche i produttori di sci: "Colpevolizzare un materiale non è la strada giusta, bisogna creare condizioni di sicurezza adeguate sulle piste di allenamento", dichiara Corrado Macciò, general manager di Head Italia, azienda leader nel settore.
Il paradigma, di nuovo, è la Formula 1: "Non si prova in strada, ma su circuiti dove si gareggia. Allo stesso modo bisogna fare in modo che una caduta - cosa normalissima - di uno sciatore in allenamento, non abbia conseguenze".LuGa