Il luna park del Barcellona alla Scala del calcio per l'impresa "impossibile"

La strategia di Flick per togliere pressione alla squadra: "Dobbiamo divertirci". Da dieci anni mai all'ultimo atto

Il luna park del Barcellona alla Scala del calcio per l'impresa "impossibile"
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Il cromosoma dello spettacolo è patrimonio di una squadra che ha già messo a segno 160 gol. Questo è il Barcellona: gusto estetico e leggerezza. Nella pancia del Montjuic, Inzaghi l'ha definita la squadra «più offensiva e più bella». Ma non la più forte. Perché ci sono i numeri a dire che c'è tanto oro che luccica, ma con 62 gol presi in 55 partite c'è anche qualche cono d'ombra. Eppure il Barcellona la finale la vuole e la vuole a suo modo: divertendosi.

«Vogliamo dominare l'avversario», disse della filosofia del club Flick all'andata. «Dobbiamo divertirci, perché è bello giocare una semifinale di Champions in casa dell'Inter. Ma dobbiamo divertirci», ha spiegato invece ieri. Scarica la pressione dai suoi, il tecnico tedesco, ben sapendo di avere sì dei «geni» (aggettivo scelto per Yamal), ma anche giovanissimi che possono patire il peso della responsabilità e dell'ambiente.

Il Barcellona non centra una finale da 10 anni, cercherà di farlo rinunciando in avvio a uno dei suoi simboli, Lewandowski. Recuperato sì, ma disponibile a partita in corso. Non che manchino le alternative: da Yamal a Pedri, da Ferran Torres a Olmo, passando per Raphinha. Quasi omonimo della meteora interista Rafinha, arrivato ma poi anche tornato a Barcellona nel 2018. Il secondo, figlio di Mazinho, il primo di tal Maninho, ma Belloli all'anagrafe. Tanto italiano da consentire al figlio di sfiorare, prima dell'Europeo 2020 poi vinto da Mancini a Wembley, la maglia azzurra.

«Era tutto pronto, tutto lo staff dell'Italia mi voleva», ha spiegato Raphinha, ma il ritardo del passaporto cambiò la storia. Sulla corsia opposta, stasera potrebbe incrociare un altro italobrasiliano: Carlos Augusto, nonni friulani e una convocazione italiana mai concretizzata. Sin qui, Raphinha ha segnato 12 dei suoi 36 gol stagionali in Champions, più della metà di quanti tutta l'Inter (22). In ogni caso, il Barcellona sa che si troverà a spingere: perché è la genetica a imporglielo.

Ma c'è anche un'evoluzione biologica, che parla di adattamento e pragmatismo: quello tradotto sul campo con la capacità di vincere di cortomusismo.

Nel doppio passo blaugrana, ai 7-0 sul Valladolid o ai 7-1 al Valencia tengono il ritmo gli 1-0: ne sanno qualcosa Getafe, Alaves, Rayo Vallecano, Maiorca e Leganes, oltre che il Benfica in Champions.

Perché, analogia che preoccupa il Meazza, anche in Coppa del Re il Barcellona fece fuoco e fiamme contro l'Atletico Madrid: finì 4-4, tra l'altro con un momentaneo 0-2 che al Montjuic si sarebbe replicato proprio nella semifinale d'andata contro l'Inter.

Al ritorno, però, meno fronzoli e 0-1 finale. A dimostrazione che strabiliare non fa per forza rima con vincere.

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