L a notte di quel luglio del duemila e undici, portò aria fresca dopo una giornata di afa maledetta. Gerd Muller uscì dalla stanza dell'albergo Villa Medruzzo a Trento dove la nazionale tedesca Under 23 stava in ritiro per un torneo estivo. Il portiere di turno non fece caso a quel signore piccoletto che aprì la porta e se ne andò via, alle tre di notte. Quando la squadra si ritrovò per la colazione del mattino i ragazzi e lo staff attesero che scendesse il capo. Il ritardo inquietò il medico della nazionale, salì verso la camera, entrò, il letto era sfatto, provò a chiamare Gerd, nessuna risposta. Ridiscese preoccupato e chiese al portiere se avesse visto per caso il signor Muller, la risposta fu negativa e allora la preoccupazione si trasformò in ansia, angoscia. Vennero avvisati i carabinieri e incominciò la ricerca. Gerd si era allontanato come un ladro ma senza refurtiva, il suo bottino era un tulle di luci e di suoni, percorse sei chilometri vagando per strade e parchi, lo ritrovarono, confuso e stranito, alle sei di pomeriggio. Fu il segnale che quel campione non avesse soltanto smarrito la via ma anche la vita. Gerd Muller ha l'Alzheimer, tutti sanno chi lui sia stato, una leggenda, la storia del Bayern di Monaco, la storia de "Die Mannschaft" la nazionale campione del mondo e d'Europa, l'attaccante capace di realizzare 750 gol, due di quelli restano nella nostra memoria azzurra, Italia-Germania 4 a 3, Messico 1970. Un atleta di statura non alta, anzi tracagnotto ma con quadricipiti poderosi, il carrello del corpo basso, una potenza e perfidia nel tiro e nel senso della rete, di rapina, di intuizione, di testa, di destro, di schiena, comunque e sempre "tor, tor, tor" gol, gol, gol. Tutti sanno ma lui, non più.
Gerd Muller è ricoverato da mesi in una clinica, osserva il soffitto ma lo sguardo è assente, come se fosse un cieco, senza alcun interesse e stimolo a quello che attorno a lui accade, è accaduto, accadrà. La stessa sofferta realtà di Michael Schumacher, un essere senza esistenza, un'esistenza senza vita, corse interrotte da un lampo improvviso, la fine non è ancora arrivata ma è inutile attenderla.
Due fenomeni tedeschi aggrappati a se stessi, il mondo ne rimpiange trionfi e sorrisi, giorni senza mai notti, mentre oggi è soltanto buio, luce finta, bagliori che non dicono nulla. Quando la cronaca e la storia del calciatore Muller si erano concluse in Germania, Gerd volle andarsene in Florida e scelse di divertirsi con il soccer del Fort Lauderdale. Si ritirò a trentacinque anni e non si spensero, per lui, soltanto i riflettori degli stadi. Fu l'inizio di un tormento, la nostalgia che fa rima con malinconia, i giorni senza pomeriggi e sere di football, i compagni di squadra ormai soltanto amici, vecchi amici. E la solitudine. Il silenzio dopo gli applausi, i pensieri aspri di una vita che lentamente sta scivolando alle spalle. L'età, ancora fresca, non conta. Il campione si osserva allo specchio ma non ritrova se stesso, soltanto un'immagine sfocata, voci lontane. Gerd si fece crescere una barba triste, dovette ricorrere agli occhiali, lui Der Bomber , il Torpedo, l'attaccante che riusciva a individuare una porta di football anche al buio, trovò nell'alcool la sua nuova partita da giocare, ne uscì sconfitto, la depressione lo prosciugò lentamente. Lo avvolsero di affetto gli ex compagni del Bayern e della nazionale, Franz Beckenbauer si ricordò di essere un uomo e non soltanto un kaiser, così Sepp Maier e Paul Breitner e Kalle Rummenigge.
Gerd Muller tornò a vivere, forse a sopravvivere ma la sua vita che era un libro da raccontare diventava lentamente un foglio di carta velina, una foglia al vento. La malattia tremenda che porta un nome tedesco, come una sorta di destino, lo ha definitivamente preso.Occhi senza sguardo, giorni senza sole. Gerd e Michael, insieme, senza saperlo. Mentre tutti sappiamo.
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