Le ripartenze. La densità. I raddoppi. La diagonale. Lo scarico. Poi leggi che Andrea Pirlo ha lasciato il calcio e soffi sulla polvere delle parole inutili, vuote come le teste di chi le pronuncia e/o le ha create. Il calcio è stato Andrea Pirlo, per questi ultimi venti anni. Il calcio che personalmente amo, quello degli artisti, quello dei numeri dieci che non sono soltanto due cifre messe di fianco una all'altra, su una maglietta, ma segnano la storia, la differenza, nel gioco e nell'interpretazione dello stesso. Pirlo è l'ultimo a doversi arrendere. Lo ha fatto lontano dall'Italia, avendo scelto di concludere la sua avventura a New York, luogo dell'arte moderna. Moderno è stato il calcio di Andrea Pirlo e, assieme, di quel fascino antico che comporta il colpo a volo, l'intuizione magica, il lancio lungo, l'apertura improvvisa, la foglia morta, anzi assassina, sul calcio di punizione. Pirlo ha indossato varie maglie e con tutte ha firmato degnamente la propria carriera, non è stato un traditore, semmai è stato tradito. Flero, Brescia, Reggina, Inter, Milan, Juventus, New York e la nazionale, scenari diversi e film uguali.
Di lui non rammento parole se non rarissime, quasi un rantolo più che un discorso, ma, di contro, un football efficace, elegante, così raffinato che a certi allenatori non andava a genio. Ad esempio Antonio Conte non era particolarmente eccitato per quel centrocampista, messogli a disposizione da Agnelli e Marotta: Pirlo veniva meno alle idee di football aggressivo, rapido, veloce, tipiche del tecnico salentino.
La velocità e la rapidità non stanno soltanto nelle gambe, soprattutto risiedono nel cervello e Pirlo, in questo, ha smentito Conte, ha smentito tutti coloro che suonano sempre la stessa musica stucchevole, noiosa: l'orchestra, il collettivo, l'organizzazione, il sacrificio e poi, eventualmente il solista. No, Pirlo è stato anche questo ma innanzitutto è stato un direttore di scena, lui per primo, un allenatore di idee, ha saputo dettare i tempi, ha saputo recitare la parte del protagonista, è stato campione d'Europa e del mondo, ha vinto scudetti, ha pianto a Berlino là dove, qualche anno prima, aveva invece attraversato il campo correndo verso Fabio Grosso per abbracciarlo e, con lui, la coppa del mondo.
La sua parabola è stata maestosa, mai macchiata da episodi violenti, da comportamenti illeciti o sporchi, mai segnata da tatuaggi, piercing, tweet e messaggi cafoni, il suo calcio è stato un ricamo di cui hanno potuto godere i tifosi dovunque, anche gli avversari. Andrea Pirlo diventa il grande assente, come Francesco Totti, come Alessandro Del Piero, come Roberto Baggio. È il calciatore che manca al nostro teatro, intossicato di tattiche e di muscoli, di comparse e figuranti. È l'artista che farebbe comodo a Ventura, ad Allegri, a Sarri, a Montella, a Spalletti.
Si ferma al momento
giusto, tra gli applausi della gente di New York che guarda il calcio come uno spettacolo di rivista. Ha regalato fette di dolce calcio a chi sogna ancora di divertirsi con il pallone. È semplicemente doveroso dirgli grazie.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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