Sport

Maldini, Zanetti, Nedved le bandiere vanno al potere

Molti grandi passati dal campo alla scrivania, ma pochi con compiti operativi. E Totti è già scontento?

Maldini, Zanetti, Nedved le bandiere vanno al potere

La vita della bandiera, una volta salutata l'attività agonistica, può essere più difficile di quello che si pensi. Sostituire il campo con la scrivania è un passo complesso e scivoloso. Questione di ingombro, di equilibri e strategie societarie, anche di personalità. Perché se in tema di comunicazione non esiste figura migliore della bandiera, a livello di gestione le cose cambiano. Il ritorno di Paolo Maldini al Milan dopo nove anni di assenza riassume un po' tutte le criticità di questo delicato passaggio. E' noto come l'ex azzurro aveva rifiutato il ruolo di direttore tecnico propostogli dalla dirigenza cinese dei rossoneri, lamentando la scarsa chiarezza del progetto. Una posizione più di forma che di sostanza, insomma: Maldini, a differenza di altri colleghi, ha saputo dire di no. Poi il cambio di proprietà del Milan ha mischiato nuovamente le carte e dal mazzo è uscito Leonardo, fondamentale nel convincere l'ex compagno di squadra a salire a bordo. Lo ha dichiarato lo stesso Maldini: «Da Leonardo e dai nuovi proprietari mi è stato esposto un progetto in cui credo, mentre con la proprietà cinese non ero nemmeno riuscito a definire il ruolo». Torna così ad allagarsi il numero di bandiere presenti nello staff di casa Milan, accanto allo storico Franco Baresi, in attesa di capire cosa faranno Kakà e Filippo Galli: sul primo si vocifera un ruolo da dirigente a partire da settembre; il secondo invece, dopo il polemico addio dello scorso 30 giugno (era direttore del settore giovanile), potrebbe rientrare, sempre con un ruolo nel vivaio.

Quasi tutti i grandi club di Serie A annoverano una bandiera nei propri ranghi dirigenziali. Due ricoprono il ruolo di vicepresidente: Pavel Nedved nella Juventus (dal 2015, ma siede nel CdA dal 2010) e Javier Zanetti nell'Inter (dal 2014). Dall'agosto 2017, con la partecipazione assieme a squadra, staff tecnico e dirigenziale, alla riunione sul Var tenuta da Rosetti nella sala Champions di Trigoria, Francesco Totti ha iniziato ufficialmente la sua attività come dirigente della Roma. Anche se qualche mese dopo hanno cominciato a rincorrersi voci di corridoio sull'insoddisfazione del Pupone per il suo nuovo ruolo, relegato un po' ai margini dell'organigramma societario. Una situazione diametralmente opposta a quella che, sulla sponda laziale di Roma, sta vivendo da anni Igli Tare, il cui operato da direttore sportivo (dal 2009, dopo essere stato Coordinatore dell'area tecnica) è oggetto di riconoscimenti pressoché unanimi. L'ultimo, in ordine di tempo, gli è stato tributato da Luciano Moggi (al netto di ogni giudizio, uno che del settore se ne intende) in un'intervista sul Guerin Sportivo: «Il miglior dirigente in circolazione è Tare: Lotito deve tenerselo stretto». Rispetto ai giocatori sopra citati, Tare in campo non è stato un campione. Ma una bandiera non deve per forza esserlo. Identità e senso di appartenenza vanno oltre i canoni tecnici e stilistici pallonari. Ecco così Marco Di Vaio club manager del Bologna (stesso ruolo di Giancarlo Antognoni nella Fiorentina, un altro come Maldini osteggiato per anni dal proprio club), Antonio Comi dg del Torino, Marco Rossi direttore sportivo delle giovanili del Genoa, Gianluca Pessotto team manager della Juventus, Daniele Conti responsabile dell'area tecnica del Cagliari.

In attesa di Giampaolo Bellini, all'Atalanta da quando aveva 10 anni, quasi 400 partite da pro, fresco di abilitazione (ottenuta lo scorso 22 maggio) da ds, ottenuta dopo aver frequentato l'apposito corso a Coverciano.

Commenti