Mancini: "Delusione più grande della mia carriera". E dribbla il futuro

Il Ct: "Non è il momento di pensare...". Gravina: "Speriamo continui con noi"

Mancini: "Delusione più grande della mia carriera". E dribbla il futuro

Piedi di legno e mano del fato, così ci racconta la tremenda storia di Gigio Donnarumma. Anno maledetto che gli tira contro. Palloni che gli giocano contro come i piedi ignobili dei suoi attaccanti. E tutti insieme lasciano un'Italia con il sorriso nuovamente spento. Sapevamo dei piedi di legno di Gigio Donnarumma, ma c'eravamo dimenticati di quelli di Ciro Immobile convertiti al colpo di tacco anziché al tiro che va nel sacco. E forse non ci aspettavamo che Mimmo Berardi avesse messo le scarpe di un numero sbagliato. Il cuore e la fantasia inseguivano invece i piedi di Mancini: non quello in campo bensì quello in panchina. Magari con i suoi piedi avremmo visto un calcio da gol. No, qui al massimo c'era da correre dietro ai guizzi di Berardi. Peccato che quando la porta si è spalancata, il portiere macedone gli ha detto: fai pure, e il goleador da cento reti made in Sassuolo abbia usato un piede, e un tiro, più moscio di una banana marcita. Dal calcio a giro che tanto gli piace al calcio strozzato è stato un attimo: tra nostalgia e disperazione. C'era da capirlo, da quel tiretto al minuto 29, che la storia azzurra si stava mettendo male. Come non fossero bastati i tanti segnali degli ultimi giorni: troppi giocatori fuori causa per ragioni fisiche.

Diventa maledetta anche la storia di Roberto Mancini, ct di una nazionale campione d'Europa inginocchiato davanti ad una nazionale cenerentola al numero 67 del ranking europeo. Addio al mondiale che l'Italia non gioca dal 2014 in Brasile, addio al pedigree del ct che, con la nazionale, da calciatore non ha mai avuto tanta fortuna: solo una dignitosa presenza nell'Europeo 1988. Poi una presenza-assenza (mai impiegato) al mondiale di Italia '90. Pareva che il trend si fosse invertito sulla panchina da ct ed, invece, stavolta è stata una disfatta. Ci volevano i piedi del Mancini calciatore per evitargli il fallimento che i piedi storti dei nostri attaccanti gli hanno propinato. E che ora gli fa dire sul futuro: «Vediamo, è presto per parlarne. La delusione è troppo grande. Ai ragazzi voglio più bene adesso che a luglio». Il presidente Gravina: «Speriamo che resti con noi».

Non basteranno i rigori falliti nelle qualificazioni da Jorginho a spiegare l'incapacità a tirare dignitosamente in porta rispetto al suo giocare. Ieri sera chi altro seguire e inseguire se non il sinistro di Berardi che, di tanto in tanto, compariva ad accendere una luce di speranza più che uno squillar di tromba del gioco azzurro. Per non parlare di quel destro da scarpa stretta. Palloni lanciati nella notte con tanto di scia azzurra. Insomma poesia più che prosa. Il poeta per eccellenza, al secolo Lorenzo Insigne, deve avere un conto in sospeso con le partite da play off: non entrò in campo contro la Svezia, cinque anni fa, e fu un turbinare di musi lunghi. Ma non s'è visto neppure stavolta benché il ct gli abbia assegnato maglia da titolare.

E sono rimasti i musi lunghi, la notte delle delusioni e quel guizzare di un numero 11 nel mezzo delle maglie macedoni senza mai acchiappare l'attimo di gloria. Undici come il numero di Gigi Riva. Roba da farsi venire le vertigini, ed anche depressione nel pensare cosa ci sia rimasto: un altro mondiale da guardare alla tv.

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