Un derby fa, col ritorno di Roberto Mancini (decisivo il contributo di Massimo Moratti) nel villaggio neroazzurro, le campane del tifo interista ripresero a suonare a festa. Liberata Appiano da Walter Mazzarri caduto in disgrazia dopo il derby del torneo precedente (1 a 0 per il Milan, gol di De Jong, e nessun tiro in porta dell'Inter), scommisero tutti, società, pubblico e critica, sul risorgimento. Non è andata proprio così. E non soltanto perché le due eliminazioni patite (da coppa Italia ed Europa league) hanno lasciato cicatrici sul bilancio ma perché nel frattempo la marcia in campionato non ha avuto le cadenze attese. Qualche promettente progresso (il 2 a 2 col Napoli) e poi una clamorosa caduta, un impensabile black-out a Pasqua (con il Parma) seguito da un risveglio promettente a Verona. Nel fare di conto, Roberto Mancini ha collezionato da un derby all'altro, un girone quasi completo quindi, lo stesso, modesto fatturato del Milan: 25 punti. Perciò Pippo Inzaghi, con quello sguardo torvo di questi giorni, ha spesso chiesto, sottovoce ad alcuni colleghi, e in modo più soft in conferenza-stampa: «Perché io vengo messo sulla graticola e altri (Mancini, ndr) no?». Ad aggiungere pena su pena per Pippo anche il giudizio, unanime, confezionato dagli esperti sul mercato riparatore di gennaio: Mancini ha chiesto e ottenuto fior di rinforzi (Podolski, Brozovic, Shaquiri, Santon), con un generoso esborso da parte del club. «Ma allora perché?» ha continuato a interrogarsi Inzaghi che pure da Galliani ha ricevuto una preziosa donazione di sangue fresco a gennaio (Cerci, Paletta, Bocchetti, Destro, Antonelli, Suso).
Le risposte, giunte a vario titolo e da diversi addetti ai lavori, sono state diverse. È vero, a Mancini, come ha fatto sapere informalmente lo stesso Mazzarri con un paio di interviste "mascherate", tutta l'Inter ha riservato un'accoglienza calorosa. Merito innanzitutto del glorioso passato neroazzurro del tecnico (è come se al Milan un bel giorno di questi facesse ritorno Carlo Ancelotti: ci sarebbe l'ingorgo all'aeroporto) e poi dello spessore della sua carriera, impreziosita da una fortunata esperienza all'estero, in Premier league. Mancio, come lo chiamano tutti, poi è arrivato a novembre, a treno già partito, ha dovuto modificare sistemi di allenamento, mentalità e schieramento tattico, un lavoro che solitamente comporta ritardi subendo gli alti e bassi inevitabili in materia di performance e risultati. Tra i meriti acquisiti sul campo c'è di sicuro il recupero dell'entusiasmo che sembrava smarrito dopo il 2 a 2 col Verona, quindi la riscoperta di un talento che sembrava perso (Guarin), la fiducia data a Icardi mentre è rimasto alla prese con l'indecifrabile Kovacic. Per dirla tutta, Mancini è l'unica certezza da cui l'Inter può ripartire tra qualche mese. L'uso corretto della comunicazione poi gli ha risparmiato le insolenze del web che hanno demolito Mazzarri.
Pippo Inzaghi, come allenatore, ha alle spalle un anno con gli allievi e uno con la primavera impreziosito dal Viareggio vinto. Troppo poco per usufruire di immunità. Durante i primi mesi d'attività ha goduto di una linea di credito strepitosa: dalla sua parte si è schierata, per antico sodalizio, la curva; il presidente Silvio Berlusconi gli ha assicurato protezione e sostegno con visite settimanali a Milanello fino a Natale, Galliani lo ha difeso da ogni insidia e suggerito spesso rotte meno rischiose. Fino a Natale ha vissuto la luna di miele con la critica, poi l'incantesimo si è spezzato. E non solo per gli infortuni.
A dare martellate alla sua panchina hanno contribuito una serie di sostituzioni in stile Trap e un gioco scadente, oltre che risultati deludenti. Ecco, proprio il derby di domani sera potrebbe fargli conoscere un orgoglioso colpo di reni o rispedirlo sulla graticola.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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